2012 Comunicati  10 / 02 / 2012

Preghiera per le vittime delle foibe


Ricordiamo con la preghiera composta nel 1959 da Mons. Santin, arcivescovo di Trieste e Capodistria, le migliaia di giuliani, istriani, fiumani e dalmati sterminati nelle foibe dai partigiani comunisti slavi e italiani. Ricordiamo anche i 350.000 esuli che dovettero abbandonare le loro terre per salvarsi dalla pulizia etnica e dalla dittatura comunista.

 

 

 

Preghiera per le vittime delle foibe, composta nel 1959 da Mons. Antonio Santin, arcivescovo di Trieste e Capodistria
O Dio, Signore della vita e della morte,
della luce e delle tenebre,
dalla profondità di questa terra
e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
Noi siamo venuti qui per …innalzare
le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori,
ma anche apprendere l’insegnamento che sale
dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te, perché Tu hai raccolto
l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra,
costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia
e nell’amore le vie della pace.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua pace.
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle,
ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra,
e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno
sul cuore la pena per questi Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, il Signore, e in Te essi vivono.
Che se ancora la loro purificanzione non è perfetta,
noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera,
la nostra angoscia, i nostri sacrifici,
perché giungano presto a gioire dello splendore del Tuo volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà.
Tu ci hai detto: “Beati i misericordiosi perché saranno chiamati figli di Dio,
beati coloro che piangono perché saranno consolati”,
ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia
perché saranno saziati in Te, o Signore,
perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.
Così sia.