2020 Comunicati  30 / 11 / 2020

La crociata architettonica di Barluzzi in Terra Santa

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenzabarluzzi
Comunicato n. 102/20 del 30 novembre 2020, Sant’Andrea

La crociata architettonica di Barluzzi in Terra Santa

Antonio Barluzzi. Architetto in Terra Santa

Il nome dell’architetto Antonio Barluzzi (Roma, 25 settembre 1884 -Roma, 14 dicembre 1960) in Italia è pressoché sconosciuto, mentre è ripetutamente citato dalle guide che accompagnano i visitatori in Terra Santa. Il libro dell’architetto Giovanna Franco Repellini (Edizioni Terra Santa) permette al pubblico italiano di familiarizzare con questo personaggio e in particolare ai pellegrini dei Luoghi Santi di capire meglio l’architettura sacra che incontrano nella terra di Gesù.
L’impressionante opera del Barluzzi in Terra Santa, dal 1919 al 1955, ebbe due linee direttrici: il servizio totale alla Santa Sede e l’amore per la spiritualità francescana. La fedeltà al papato derivò dalla famiglia, che da generazioni era al servizio dei pontefici: il nonno Giulio scrisse la “Relazione storica del viaggio di Sua Santità Papa Pio IX da Portici a Roma nell’aprile dell’anno 1850”, mentre il padre Camillo era minutante alla Segreteria di Stato di Pio IX e membro dell’Arciconfraternita di san Pietro Apostolo. Il giovane Antonio, attratto dalla figura di san Francesco, dopo aver riflettuto sulla vocazione sacerdotale, proseguì gli studi universitari entrando nel Terz’Ordine francescano. Nei lunghi anni passati in Palestina amò condividere con i frati l’austera vita dei conventi e trascorse i suoi ultimi anni in una cella francescana nel convento della Delegazione di Terra Santa a Roma, dopo aver devoluto i suoi beni. Caritatevole con tutti, ebbe sempre un occhio di riguardo perle maestranze palestinesi, che per questo motivo lo amavano e ammiravano.
Nella parte introduttiva del libro viene descritta la volontà delle nazioni europee di rafforzare la loro presenza nel Vicino Oriente a partire dalla fine dell’800, approfittando del declino dell’Impero Ottomano che porterà alla sua definitiva caduta nel 1918. Il ripristino del Patriarcato latino di Gerusalemme nel 1847 aveva aperto nuovi scenari, poiché alla storica ed esclusiva presenza in Terra Santa dei Padri Francescani, si affiancò la presenza di altre congregazioni, spesso incoraggiate dai diversi governi nazionali. In questo quadro si inseriscono le accese rivalità tra lo stato italiano e quello francese e le parallele difficoltà di buon vicinato tra i Francescani e le congregazioni “francesi”, come gli Assunzionisti. Alcuni esempi: nel 1885 l’apertura dell’ospizio “Notre Dame de France” a Gerusalemme provocò i malumori della Custodia di Terra Santa, perché da secoli l’accoglienza ai pellegrini cattolici era riservata ai Francescani. Sorsero delle incomprensioni anche per la costruzione nel 1910 della chiesa “francese” del Pater, sul Monte degli Ulivi (che gode tuttora dell’extraterritorialità), affidata all’epoca ai Padri Bianchi: i superiori della Custodia preferirono non partecipare alla cerimonia della posa della prima pietra.
In quegli anni si aprirono dunque numerose case religiose, che si affiancarono ai conventi francescani, ma per la costruzione di nuove chiese (con poche eccezioni, come la chiesa di santa Caterina d’Alessandria inserita nel complesso francescano di Betlemme, la co-cattedrale del SS. Nome di Gesù attigua al palazzo patriarcale, la chiesa di san Giovanni Battista a Ain Karem e la piccola basilica di Cana) si dovette aspettare la caduta dell’impero turco. Fino a quel momento i pellegrini potevano visitare le vetuste basiliche del Santo Sepolcro a Gerusalemme, della Natività a Betlemme e poche altre, poi-ché la maggioranza delle chiese erano state distrutte dai terremoti e soprattutto dalle persecuzioni anticristiane. Molti secoli prima i Crociati ebbero un doppio merito, riconosciuto da pochi: ricostruire con perizia le basiliche dell’epoca bizantina devastate dai Persiani (istigati dagli Israeliti) nel VII secolo e nei secoli successivi dai maomettani (prima Arabi e poi Turchi), e di identificare i luoghi dove sorgevano le basiliche bizantine, come ha potuto comprovare l’archeologia moderna ne-gli ultimi decenni. In meno di due secoli in tutta la Terra Santa l’architettura gotica restituì ai Luoghi Santi numerose chiese, affidate ai Benedettini e agli Agostiniani. Sul Monte Tabor sorgeva uno dei più importanti monasteri, e chi scrive qualche anno fa celebrò la S. Messa nello spazio corrispondente all’antico refettorio benedettino.
Nella breve storia dei regni latini, la Terra Santa fu dunque caratterizzata dalle chiese e campanili dei Crociati, come le torri campanarie che sorgevano nel complesso fortificato attorno alla basilica di Betlemme, ma tutto, o quasi, andò perduto. Tra le poche eccezioni vi è la basilica del Santo Sepolcro, seppur devastata (con le tombe dei re latini profanate e distrutte) e impoverita dagli scismatici greci, e la chiesa di sant’Anna, entrambe a Gerusalemme. Vi sarebbe anche il Cenacolo sul Monte Sion, che però è ridotto a un museo, a causa della proibizione di officiare imposta ai Latini prima dalle autorità ottomane e ora da quelle israeliane. Attiguo all’edificio conteso, nel 1936 i Francescani fondarono il “Cenacolino”, per avere un luogo di culto vicino alla sala dove fu istituita la SS. Eucarestia.
La caduta della Sublime Porta permise dunque la ricostruzione degli edifici di culto cattolici e non solo, poiché gli Inglesi favorirono la penetrazione in Terra Santa del protestantesimo (per la verità senza molti successi, come era già avvenuto in Italia col “risorgimento”). Da sottolineare come i Greci, da secoli adulatori del Turbante, rapidamente si mostrarono amici dei protestanti in chiave anticattolica. Già alla fine dell’800 gli acattolici furono favoriti dai Turchi: nel 1880 l’imperatore di Prussia ebbe il permesso di costruire la chiesa luterana del Redentore (sulle rovine della chiesa di S. Maria dei Latini) a pochi passi dal Santo Sepolcro e nel 1886 lo zar Alessandro III poté edificare la chiesa dei Russi scismatici sul Monte degli Ulivi. Nel 1910 il sovrano prussiano accontentò anche i cattolici tedeschi con la chiesa della Dormizione sul Monte Sion, caratterizzata da una forma tozza e pesante.
La Custodia di Terra Santa, anche col sostegno dei diversi governi italiani (che agirono attraverso l’ANSMI, Associazione Nazionale per Soccorre i Missionari Italiani, fondata nel 1886 dall’archeologo Ernesto Schiapparelli), trasformò il panorama architettonico della Palestina con l’edificazione di numerose chiese: l’artefice principale di questa ricostruzione fu Antonio Barluzzi. Il pellegrino che visita la Terra Santa non sospetta quante difficoltà (d’ordine religioso, burocratico, politico, economico) si dovettero sormontare per costruire molte delle chiese che sorgono oggi in Galilea e in Giudea. I “frati della corda” con caparbietà seppero costruire (o ricostruire) dal 1919 agli anni ’50: la basilica della Trasfigurazione sul Monte Tabor; la basilica dell’Agonia al Getsemani; la chiesa del Buon Pastore a Gerico; la basilica della Visitazione a Ain Karem; la chiesa di san Lazzaro a Betania; il restauro del chiostro di san Girolamo e l’ampiamento della chiesa di santa Caterina a Betlemme; la chiesa dei Pastori a Beit Sahur, nei pressi di Betlemme; la chiesa del Dominus Flevit sul Monte degli Ulivi. Furono inoltre ristrutturate la basilica delle Palme a Betfage e le chiese gerosolimitane della Flagellazione (Via Dolorosa) e della cappella del Crocifisso al Santo Sepolcro. Da parte sua, l’ANSMI fece costruire la basilica delle Beatitudini, trasformando un sito che si affaccia sul lago di Tiberiade in uno stupendo giardino. Ebbene, tutte queste chiese (a cui si deve aggiungere sul Monte Carmelo il nuovo convento carmelitano e il restauro del santuario, oltre ad altri edifici in Palestina, Libano e Giordania) furono progettate e realizzate dall’architetto Antonio Barluzzi, che spese buona parte della sua vita, della sua salute e dei suoi denari al servizio della presenza cattolica in Terra Santa.
Non si trattava di edificare delle chiese per i cattolici palestinesi di rito latino: esse esistevano già, come gli edifici sacri già menzionati costruiti alla fine dell’800 oppure la chiesa del convento custodiale di San Salvatore, che per due secoli fu l’unica istituzione cattolica presente a Gerusalemme. Era arrivato il momento di ricostruire delle chiese nei Luoghi Santi principalmente per il clero e i fedeli che da tutto il mondo nel futuro si sarebbero recati in pellegrinaggio, facilitati dalle nuove modalità di viaggio, più comode e sicure. Il pellegrino, pensava Barluzzi, doveva essere aiutato a meditare i vari misteri della vita di Cristo attraverso il simbolismo delle chiese costruite in quei luoghi; le particolarità architettoniche dovevano quindi introdurre più facilmente alla contemplazione delle scene evangeliche e rimanere impresse nella memoria del pellegrino. Ecco dunque l’elemento simbolico presente costantemente nelle sue progettazioni: la triplice partitura della facciata della basilica del Tabor a ricordo delle tre tende; la penombra nella chiesa del Getsemani, che richiama l’Agonia; la chiesa ottagonale delle otto Beatitudini; il buio della parte inferiore e la luce della cupola nella chiesa di Betania per rappresentare la morte e resurrezione di Lazzaro; la chiesa a forma di tenda al Campo dei Pastori; la forma di goccia del Dominus Flevit, a ricordo delle lacrime di Gesù…
Il libro descrive la costruzione delle diverse chiese, con degli agili capitoli ricchi di documentazione d’archivio, come le note e i disegni dei progetti originali del Barluzzi, e di numerose fotografie. I primi capitoli illustrano la febbrile attività che accompagnò la costruzione contemporanea delle prime chiese, sul monte Tabor e al Getsemani (con gli ostacoli posti dai Greci e dalle autorità Inglesi), gli edifici che esaltano maggiormente le capacità dell’architetto e il rigore nel costruire secondo le indicazioni degli scavi archeologici dei Francescani (un altro aspetto che sfugge ai più è l’importanza del lavoro archeologico della Custodia, fondamentale per salvaguardare i diritti della Chiesa in numerosi siti della Terra Santa). L’ultima chiesa sarà il Dominus Flevit, nel 1955: la vetrata con i simboli cristiani che si apre sulla città ideata dal Barluzzi è diventata una delle immagini caratteristiche di Gerusalemme.
Per la verità l’architetto sperava di poter costruire anche la basilica della Natività a Nazareth, dove sorgeva una piccola chiesa. Il padre Custode Alberto Gori gli aveva assegnato l’incarico nel 1939, ma la guerra rimandò il progetto. Nel 1955 il nuovo Custode preferì il progetto dell’arch. Giovanni Muzio, autore dell’attuale costruzione, che fu edificata in piena era montiniana con generose colate di cemento. Per la salute del Barluzzi, già provata dal sistema nervoso scosso e dalla perdita dell’occhio sinistro, fu un colpo fatale. Nel suo diario in data 3 febbraio 1958 annota “(l’annuncio) mi procura una crisi cardiaca durata tutta la notte, che ha provocato uno stordimento celebrale e l’enfisema polmonare. Torno a Roma e mi rifugio alla Delegazione di Terra Santa”. Non si riprese più dal dispiacere e morì due anni dopo tra i francescani come uno di essi, ricordato dai padri della Custodia nel 1960 con queste parole: “Fu innanzitutto un uomo di fede, di preghiera e di profonda vita interiore. Rinunciò ai vantaggi che la professione gli avrebbe potuto procurare e volle vivere e morire povero accanto ai francescani di Terra Santa”.
Nel libro si parla anche dei numerosi artisti e artigiani (per gli affreschi, mosaici, vetrate, bronzi, marmi, ecc.), tutti italiani, che lavorarono nelle chiese progettate da Barluzzi in base alle indicazioni contenute nei disegni e schizzi dello stesso architetto. Non fu sempre facile scegliere i migliori e in alcuni casi la buona parola di un prelato o di un politico fece preferire i meno adatti. Barluzzi protestò per talune imposizioni, come nel caso di Luigi Trifoglio che fece il nuovo mosaico all’altare latino del Calvario, decisamente non all’altezza della sacralità del luogo.
Per concludere: la lettura del libro permette innanzitutto di conoscere in modo adeguato l’opera dell’arch. Antonio Barluzzi e di scoprire tanti preziosi particolari, frutto della profonda fede e dei talenti artistici del personaggio. Inoltre permette di amare maggiormente i Luoghi Santi e, perché no, può incoraggiare ad intraprendere un pellegrinaggio per pregare nei santuari descritti nel libro.

don Ugo Carandino

Giovanna Franco Repellini, Antonio Barluzzi. Architetto in Terra Santa, Edizioni Terra Santa, 2013.

Articolo pubblicato da Sodalitium, nn. 70-71, settembre 2020, pagg. 113 – 116

https://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/70-71.pdf