2024 Comunicati  22 / 01 / 2024

Intervista sulla situazione dei cristiani in Terra Santa

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 7/24 del 22 gennaio 2024, San Vincenzo

Intervista sulla situazione dei cristiani in Terra Santa

Intervista a don Ugo Carandino: Le dure condizioni dei Cristiani in Terra Santa, di Francesco Di Ciano e Manuel Berardinucci

La situazione di permanente conflitto che interessa i territori tra Israele e Palestina è periodicamente sottoposta ad attenzione mediatica in base alle dimensioni e all’intensità degli scontri. Tuttavia, al disotto e aldilà dei roboanti rumori dei missili di una parte e dell’altra, delle prosopopeiche dichiarazioni, delle partigianerie politiche e degli accordi internazionali, scorre una storia silenziosa, dimenticata ed ignorata: è la vita dei cristiani in Terra Santa; una vita non semplice, fatta di discriminazioni ed angherie. Abbiamo il piacere di riportare sul Maccabeo, nella formula di questa intervista che proponiamo al lettore, le considerazioni in proposito del Reverendo don Ugo Carandino, sacerdote dell’Istituto Mater Boni Consilii, più volte pellegrino in Terra Santa ed anche in virtù di ciò attento osservatore delle vicende cristiane in Israele e Palestina.

Reverendo, desideriamo innanzitutto ringraziarla per la cortese disponibilità che ci ha accordato rispondendo alle nostre domande. Per comprendere l’attualità senza fermarsi alle soglie di valutazioni superficiali, è necessario conoscere i pregressi storici di ciò che si analizza. Una certa ignoranza storica comune immagina che i cristiani siano sostanzialmente spariti dalla Terra Santa con il sopraggiungere delle armate maomettane nel VII secolo e che quindi già l’epopea crociata fosse una sorta di “vendetta” o sopruso fuori tempo massimo. Sappiamo invece da fonti britanniche che nella prima metà del Novecento i cristiani in quelle terre erano ancora circa un decimo della popolazione totale. Cosa ha portato nel volgere di pochi decenni ad una riduzione numerica così drastica come l’attuale?

Il Cristianesimo è nato in Palestina e da allora ha sempre continuato ad esistere, alternando momenti felici ad altri particolarmente difficili. Una data significativa per la presenza cristiana è l’11 dicembre 1917, quando le truppe britanniche, francesi e italiane (vi era un nucleo di Carabinieri Reali) entrarono a Gerusalemme: l’impero ottomano era sconfitto e dopo tanti secoli la città e la Palestina (in quel momento la parte meridionale) ritornavano ad essere governate da nazioni “cristiane”. L’entusiasmo tra i rappresentanti delle diverse chiese (o meglio, della Chiesa cattolica e delle sette acattoliche) era alle stelle, circolavano delle immagini dei soldati vittoriosi associate a quelle degli antichi crociati, all’orizzonte compariva la possibilità di ricristianizzare la Terra Santa. Il fatto poi che il generale Allenby, comandante britannico, avesse fatto leggere il proclama alle truppe da un frate francescano, accresceva le speranze tra i cattolici. In effetti la ricostruzione di molti santuari andati distrutti dalle persecuzioni e dalle calamità naturali fu fatta proprio in quegli anni. Il 2024, ad esempio, è il centenario dell’edificazione di due tra le più importanti e monumentali chiese, quella della Trasfigurazione sul Monte Tabor e quella dell’Agonia al Getsemani, due capolavori dell’architetto Barluzzi. Le diverse congregazioni religiose facevano a gara per aprire una casa nei Luoghi Santi, e i diversi governi favorivano questi insediamenti, come quello italiano che promuoveva la cultura e la lingua italiana in Palestina attraverso l’ANSMI (Ass. Naz. per Soccorrere i Missionari Italiani) fondata da Ernesto Schiapparelli. Evidentemente era in primo luogo la componente cristiana della popolazione palestinese – possiamo stimare il 15%, con percentuali elevate in città come Nazaret e Betlemme – a sperare in un futuro roseo, dopo secoli di privazioni. Ma ben presto le riviste francescane di Terra Santa indicarono nel progetto sionista una minaccia a queste prospettive. I timori purtroppo si concretizzarono e a partire dal 1948 iniziò l’esodo dei cristiani, in particolare della borghesia, che rappresentava una componete qualificata della classe dirigente locale. Un ulteriore riduzione dei cristiani si ebbe dopo la guerra dei sei giorni nel 1967. Se nel 1948 a Gerusalemme i cattolici di rito latino da soli erano 90.000 circa, oggi sommando i cattolici di tutti i riti e i cristiani delle diverse ‘chiese’, si arriva a 9.000 mila persone! La percentuale totale oggi è scesa sotto il 2% e con l’attuale guerra molti giovani cristiani, che non trovano prospettive di lavoro e di sicurezza per le loro famiglie, stanno pensando seriamente di partire all’estero.

Lei è stato più volte pellegrino in Terra Santa, cosa può dirci di quello che ha constatato in merito alla vita quotidiana dei cristiani nel cosiddetto stato israeliano? Anche quì, la vulgata comune dipinge una situazione di “tolleranza” di stampo europeo (e radice massonico-illuminista) ma le recenti e ripetute immagini di sputi in strada rivolti a religiosi o pellegrini cristiani o perfino di vere e proprie aggressioni il più delle volte vengono bollate dalle autorità come ragazzate o punite in modo lieve. 

Per rispondere mi ricollego alla risposta precedente, poiché la posta in gioco andata perduta dopo il 1917 può far capire l’attuale situazione. Oggi siamo abituati a considerare del tutto normale in Terra Santa la presenza di autorità civili non cristiane, con una scelta ristretta tra istituzioni ebraiche o musulmane. Dopo la caduta dell’impero ottomano (uno dei tanti sconvolgimenti geopolitici della prima guerra mondiale, un tragico evento che fu provvidenziale per chi perseguiva alcuni ambiziosi progetti) l’organizzazione politica e sociale della Palestina poteva ritornare cristiana, e quindi rendere i palestinesi battezzati doppiamente “a casa propria”, garantendo loro una legislazione favorevole. Il passaggio invece dal potere non cristiano dei Turchi a quello altrettanto non cristiano dei Sionisti, particolarmente esclusivista, ha determinato l’attuale situazione in cui i cristiani sono considerati degli ospiti, misconoscendo il loro doppio legame con la Terra Santa, in quanto eredi delle prime comunità cristiane e in quanto popolazione autoctona. Se le manifestazioni di intolleranza di alcuni gruppi ebraici accennate nella domanda colpiscono in particolare il clero (locale o in visita ai Luoghi Santi), tutti i cristiani palestinesi in ambito israeliano sono penalizzati dalla legge approvata nel 2018, che definisce lo stato come “la casa nazionale del popolo ebraico”, per cui i non ebrei sono appunto ospiti più o meno graditi in casa altrui. Sulla scia di questa novità legislativa e dell’irrigidimento della linea governativa, negli ultimi anni nella Città Vecchia di Gerusalemme i casi di intolleranza religiosa nei confronti degli edifici e delle persone delle diverse comunità sono aumentati, infliggendo amarezze alle comunità locali.

Qual è invece, per quanto ha avuto modo di osservare o sentire, la condizione dei cristiani nei territori palestinesi?

È evidente la frustrazione per il contesto in cui sono costretti a vivere, come quel giovane commerciante di Betlemme che l’8 settembre scorso recriminava di non avere i permessi per recarsi a un concerto che si teneva a Gerusalemme in onore della festa mariana: un breve percorso, di pochissimi chilometri, reso impossibile dal muro di separazione. Ecco, penso che la mancanza di libertà di movimento, soprattutto per i più giovani, sia un peso non indifferente; una situazione che rende più difficili, per una comunità cristiana sempre più piccola, anche delle relazioni sentimentali serie per fondare delle nuove famiglie cattoliche. Ovviamente quello che si è innescato dall’inizio di ottobre rende tutto più difficile, sia per i cristiani arabi cittadini israeliani, sia per quelli sotto l’Autorità nazionale palestinese. I media del Patriarcato latino e della Custodia francescana parlano di come la diffidenza e il rancore reciproco tra israeliani e arabi siano cresciuti a dismisura, coi rapporti sociali sempre più tesi o addirittura interrotti. Pensiamo ad esempio ai provvedimenti governativi particolarmente penalizzanti per i lavoratori cristiani che ogni giorno transitavano da una parte all’altra della Terra Santa. Questa minaccia di povertà per alcuni settori si aggiunge a quella generalizzata dovuta alla mancanza di pellegrini e visitatori, che ha messo in ginocchio il comparto turistico, una delle fonti maggiori di lavoro per molte famiglie cristiane. Vi sono poi i mille cristiani, tra latini e greco scismatici, a Gaza City (prima della guerra rappresentavano lo 0,05% della popolazione della Striscia) che da ottobre sono sfollati nelle strutture delle due comunità, con le case bombardate e senza nessuna prospettiva lavorativa futura per coloro che riusciranno a sopravvivere.

In conclusione, qual è l’orizzonte risolutivo alla crisi in atto più conforme alla dottrina cattolica e alla libertà dei cristiani in Terra Santa? Insomma verso quali intenzioni rivolgere le nostre preghiere ed eventualmente quali prospettive pratiche auspicare? 

Nei secoli passati i cattolici della Terra Santa, pur schiacciati dalla dominazione musulmana, prima araba e poi turca, hanno sempre trovato nella Cristianità un valido soccorso, che favoriva il secolare lavoro della Custodia francescana a difesa delle comunità locali oltre che dei pellegrini. E’ quello che manca oggi e che mancò nel 1917: non più delle nazioni cattoliche decise a salvaguardare la presenza cristiana in Terra Santa anzi, a farla prosperare il più possibile, bensì delle nazioni apostate sprofondate nelle sabbie mobili del laicismo, per nulla intenzionate a urtare i nuovi padroni della Palestina e quindi insensibili alla sorte delle comunità cristiane. Vi faccio un esempio: i governi dell’Italia, della Spagna, della Francia e del Belgio hanno un rapporto diplomatico particolare con la Custodia, che però si esaurisce alla presenza ad alcune funzioni. A partire dalle istituzioni italiane, non vedo nessun intervento per rivendicare quello che invece chiese con forza e chiarezza il papa Pio XII fin dal 1948 (e che teoricamente è ancora la posizione ufficiale della Santa Sede), e cioè uno statuto internazionale per Gerusalemme, capace di garantire la libertà ai Luoghi Santi e di riflesso il riconoscimento dei diritti fondamentali ai cristiani locali. Alle omissioni si aggiungono dei propositi sventurati: purtroppo le ultime generazioni della classe politica trattano delle questioni particolarmente complesse e delicate con una superficialità disarmante, anteponendo l’illusione di un effimero vantaggio politico a un contributo per una risoluzione saggia e duratura agli sconvolgimenti politici e sociali che da decenni travagliano la Terra Santa. L’ipotesi di sovvertire l’assetto diplomatico e politico con lo spostamento delle ambasciate a Gerusalemme, avanzata da certi politici anche italiani, è l’esempio più lampante e allarmante. Quindi non sembra proprio che la soluzione possa venire dalle cancellerie, dove vi sono dei presunti statisti inadeguati al loro ruolo e allineati ai più forti. Quanto al Vaticano, ricordo le parole che mi disse un prete quest’estate in Galilea, veterano dei pellegrinaggi, che riteneva negativa quella che considerava un’eccessiva prudenza della Santa Sede. In questo senso, ritengo che il dialogo interreligioso giudaico-cristiano, che ha raggiunto dei livelli inverosimili negli anni ’80 con Giovanni Paolo II, non abbia giovato all’esercizio dignitoso e fruttuoso della diplomazia vaticana. Apro una parentesi per sottolineare come lo spirito missionario, pur davanti a una realtà proibitiva, non deve rinunciare alla speranza della conversione alla vera Fede nella SS. Trinità di tutti coloro che non hanno la grazia del Battesimo, poiché solamente il balsamo della grazia santificante può trasformare gli uomini e predisporre a una salutare trasformazione della società israeliana e di quella palestinese. Ritornando al nostro discorso, sembra quindi che umanamente parlando non vi siano delle prospettive per un assetto sociale pacifico ed equilibrato nella Terra scelta da Dio per l’opera della Redenzione. Le vicende esplose all’inizio dell’ottobre scorso hanno reso la situazione generale ancora più proibitiva, e le drammatiche notizie relative alla popolazione civile confermano questa prospettiva col reale rischio che il conflitto possa investire l’intero Vicino Oriente. Tuttavia le vicende umane sono sempre sottoposte alla Provvidenza Divina, che può sbaragliare in modo inatteso i progetti umani. Le nostre preghiere sono dunque necessarie per chiedere e ottenere questo intervento divino. Del resto è proprio in questa terra che si passò in modo miracoloso dal Venerdì Santo alla Domenica della Resurrezione. Evidentemente la preghiera dev’essere la conseguenza di una maggiore attenzione dell’opinione pubblica per le sorti della presenza cristiana della Terra Santa, attenzione allo stato attuale assopita dagli organi d’informazione. Per concludere, parafrasando le parole di Pio XI (“Pax Christi in Regno Christi”), non stanchiamoci di chiedere la pace di Cristo nella terra di Cristo, attraverso l’intercessione di Maria Regina della Palestina, titolo significativo che fu scelto dal patriarca Luigi Barlassina per consacrare nel 1920 il Patriarcato latino di Gerusalemme alla Madonna.

Preghiera a Maria Immacolata, Regina della Palestina 

O Maria Immacolata, graziosa Regina del cielo e della terra, eccoci prostrati al tuo eccelso trono, pieni di fiducia nella tua bontà e nella tua sconfinata potenza. Noi ti supplichiamo di rivolgere uno sguardo pietoso sulla Palestina, che più di ogni altra regione ti appartiene, imperocché tu l’hai aggraziata con la tua nascita, con le tue virtù, con i tuoi dolori, e da essa hai dato al mondo il Redentore. Ricorda che qui appunto tu fosti costituita tenera Madre nostra e dispensiera delle grazie; veglia dunque con speciale protezione sulla tua Patria terrena, dissipa da essa le tenebre dell’errore poiché ivi risplendette il Sole dell’eterna Giustizia, e fa’ che presto si compia la promessa uscita dal labbro del tuo divino Figlio, di formare un solo ovile sotto un solo Pastore. Ottieni inoltre a tutti noi di servire il Signore nella santità e nella giustizia tutti i giorni della vita nostra, affinché per i meriti di Gesù e con il tuo materno aiuto, possiamo alfine passare da questa Gerusalemme terrena agli splendori di quella celeste. Così sia.

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