2018 Comunicati  07 / 03 / 2018

Il dolomitico aquinate

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 25/18 del 7 marzo 2018, San Tommaso d’Aquino

Barron-AQUINAS

Il dolomitico aquinate

Oggi la Chiesa festeggia san Tommaso d’Aquino, gloria dell’Ordine domenicano e della teologia cattolica, definito da mons. Umberto Benigni nella “Storia Sociale della Chiesa” gigante dell’ortodossia e il dolomitico aquinate. San Tommaso era uno dei santi invocati in special modo dai membri del Sodalitium Pianum, l’associazione fondata da mons. Benigni per applicare il programma antimodernista tracciato da san Pio X, tra cui la difesa del tomismo osteggiato dai modernisti. In onore di san Tommaso pubblichiamo alcuni paragrafi dedicati all’Ordine domenicano tratti dalla  “Storia Sociale della Chiesa” (La crisi medievale, vol. V, Casa Editrice Vallardi, pagg. 633 e 634).

I Domenicani
Ed ecco l’Ordine domenicano. Compreso dall’intuito del bisogno, il Fondatore volle che i suoi frati si dessero alla predicazione professionale, e fossero mendicanti cioè fossero a contatto del popolo minuto che avrebbe avuto da loro la predica, muta, eloquente, dell’esempio, prima di quella della parola.
Idea generosa ma non attuabile permanentemente. In grande accadde al domenicanesimo quello che in breve spazio era accaduto alla Scuola cristiana d’Alessandria. Cominciata come scuola catechetica, cioè a predicazione fissa, con Panteno, assorse naturalmente a più alto grado con Clemente Alessandrino e con Origene, e divenne quello che nel medioevo si sarebbe chiamato Studium od Università filosofico-teologica. Analogamente il domenicanesimo sorse colla predicazione, catechismo ambulante (e gli stessi 15 misteri del Rosario sono un embrione di catechismo). Ma questo primo stadio additava la via da ascendere, al dottorato professionale, al professorato.
Ed ecco l’Ordine diventare quello dei grandi professori universitari con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, giù giù, malgrado la decadenza; giacché è gloria domenicana l’aver tentato la riforma cattolica prima della pseudo-riforma protestante, con riformatori indefessi come il beato Venturino da Bergamo (1304-46) in Lombardia. Le Confraternite del Rosario erano un grande strumento di riforma come i Terz’Ordini. Nell’arte sempre più «laica», si vede lo sforzo domenicano del beato Angelico. Nell’irrequieto e deviato Savonarola freme l’impeto della riforma che s’imponeva a tutti, dal Borgia ai popolino.
Scoppiata la Riforma di Lutero e di Calvino si ebbe la rinascita contro-riformistica della scienza dei domenicani. Giacche se il frate predicatore Tetzel fece il guaio di liberare le anime del purgatorio colla contabilità del tintinnare dei soldi buttati nella cassetta delle elemosine, dando cosi occasione ai frementi nemici della Roma medicea di gridare con Hutten: «i denari, che mandate a Roma, vanno non a Cristo ma ai fiorentini», — scoppiata la bufera l’Ordine domenicano offerse alla Controriforma due insuperati teologi, gli spagnuoli Melchior Cano (1560) e Pietro de Soh (t 1563), fedeli maestri della tradizione tomista, che doveva avere in un altro grande scienziato spagnuolo, il gesuita Francesco Suarez, una divergenza fondamentale a cominciare dalla questione della essenza ed esistenza.
Allora il convento domenicano si elevò automaticamente a qualche cosa di analogo della solenne abbadia, tanto più che vi si univa il formidabile potere inquisitoriale. È difficile concepire Torquemada in giro colla bisaccia fra due autodafé.
Ma la mendicità primigenia, voluta ed attuata da Domenico in persona, fu provvidenziale, perchè introdusse il predicatore e prossimo inquisitore fra il popolo, nella simpatica popolare figura del frate mendicante, che fece la fortuna del francescano.
Sulla cattedra universitaria, nel seggio di giudice «inquisitor contra haereticam pravitatem» il domenicano è una grande figura. Anche negli eccessi del Savonarola si sente la tempera del lottatore per la riforma cristiana.
E nel gran quadro storico, Francesco e Domenico splendono come un radioso dittico, che i loro figli hanno dimenticato qualche volta nella sovreccitazione delle lotte di scuola. Ma resta sempre, vera e luminosa, l’antifona cantata dai due Ordini: «il cherubico Domenico ed il serafico Francesco c’insegnarono la legge tua, Signore!».

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