2012 Comunicati  16 / 05 / 2012

Ieri come oggi, ai rabbini piacciono gli imperatori anticristiani

Luca-Giordano-La-morte-di-Giuliano-lApostataCentro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 52/12 del 16 maggio 2012, Sant’Ubaldo

Ricorre quest’anno il 1700° anniversario della vittoria di Costantino nella battaglia di Ponte Milvio a Roma. Il rabbino capo Riccardo Di Segni, particolarmente interessato alla vita interna della Chiesa, ha criticato le cerimonie commemorative e, in contrapposizione all’opera costantiniana, ha elogiato la figura di Giuliano l’Apostata, che tentò la restaurazione del paganesimo. Ne approfittiamo per approfondire il pensiero e l’opera dell’imperatore Giuliano attraverso gli studi di monsignor Umberto Benigni.

Giuliano l’Apostata. Per il rabbino capo Riccardo Di Segni: ottimo.
“Con la conversione di Costantino è cambiato tutto. Quell’evento ha inciso in maniera decisiva sulla storia ed è strettamente connesso alla persecuzione antiebraica”. La conversione di Costantino, aggiunge, “è uno spartiacque epocale, ha diviso la storia tra un prima e un dopo, determinando un drammatico sconvolgimento a cui ha inutilmente tentato di porre rimedio l’ottimo imperatore Giuliano ribattezzato per questo polemicamente e ingiustamente dai cristiani l’Apostata”. (…)
Fonte: Vatican Insider

Giuliano l’Apostata. Per mons. Umberto Benigni: squilibrato e psicopatico.
E’ risaputo come certi squilibrati abbiano una straordinaria abilità di dissimulazione. E che Giuliano fosse uno squilibrato, pur fornito di grandi qualità, il suo impero lo ha patentemente dimostrato.
Quando si tratta direttamente o indirettamente di fede e cultura religiosa, tutto in Giuliano appare deformato, spostato, morbosamente gonfio o raggrinzito.

La montatura classica del suo cervello è famosa, e costituisce la base delle sue aberrazioni. Strano nella stessa montatura, quest’occidentale non è classicista latineggiante od, almeno, anche latineggiante: Giuliano non è che un ellenista. Egli non cita mai Cicerone E Virgilio, cita sempre Platone ed Omero; non ama l’Occidente classico e pagano, non visita mai Roma. Quest’assenteismo spirituale e materiale non poté contribuire a rendere in Giuliano più acuta la mancanza del criterio positivo, della serietà pratica della vita che il genio latino aveva così altamente formulato, e che il decadentismo greco-orientale di allora completamente ignorava o disprezzava.

Un’altra enorme stranezza che è nello stesso tempo un’enorme iniquità, fu commessa da questo fanatico classicista nel vietare ai cristiani l’insegnamento della letteratura classica. Lo vietò per il furbesco fine di rendere ignoranti e rozzi i cristiani e togliere alla loro dottrina e propaganda il lenocinio del bel dire e del bello scrivere; ma era la furberia di uno squilibrato, perché evidentemente, da una parte, non era più il tempo da poter riuscire a quello scopo materiale; e, dall’altra, l’esclusione dalla classicità rendeva tanto più difficile di persuadere i cristiani della pretesa beltà e superiorità del classicismo paganesimo. Onde è uno psicopatico quegli che esclamò: “Nostra è l’eloquenza e nostro il venerare gli dei; vostra , o cristiani, è l’ignoranza e la rozzezza, e tutta la vostra sapienza si riduca a dire: credi”.

In genere gli eretici e scismatici lo trovarono favorevolissimo per loro quando essi stavano contro i cattolici. Anche agli ebrei fu, come è noto, favorevole, permettendo ed aiutando la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, soltanto perché sperava con ciò di confutare una profezia cristiana; ed è noto altresì che tale impresa servì soltanto a finir di demolire i ruderi del tempio. (il demonio fa le pentole ma non i coperti, ndr).
Questa fu la libertà e neutralità religiosa di Giuliano di fronte ai culti “stranierei”: cioè egli mise tutto in arme contro il cristianesimo, anche la libertà e la neutralità nelle lotte interne cristiane e nel vecchio duello tra Chiesa e Sinagoga. Ma appunto perché quella settaria libertà e neutralità era uno strumento di guerra, ed egli l’adoperava perchè tale, così Giuliano fece positivamente la guerra al cristianesimo conculcando libertà, uguaglianza, giustizia, diritto e civiltà, quando il conculcarli serviva a combattere il cristianesimo.
Come Diocleziano, Galerio e Licinio, l’imperatore cominciò col proibire ai cristiani di avere impieghi della corte e del governo, se non avessero sacrificato agli dei. Il primo risultato di questa tirannica disposizione fu di far conoscere quali fossero i veri cristiani, e quali avessero ricevuto il battesimo per moda o per calcolo.

Con quello spirito di gretta angheria e di furberia sorniona che è propria dei caratteri falsi e inaciditi, Giuliano seminava di tranelli pagani la vita cristiana per poter illudersi di aver fatto molti apostati. La giustizia e l’umanità in mano di quel lato umanitario subirono atroci offese quando egli volle applicarle ai cristiani chiamati da lui “lebbra dell’umanità”.

Taglieggiava spietatamente i cristiani con ogni pretesto: per esempio, quello di raccogliere fondi per la guerra persiana. Molti governatori se ne approfittavano per conto loro, esigendo più del fissato;e Giuliano naturalmente lasciava fare, anzi ci scherzava sopra, schernendo i cristiani.
E non erano soltanto le angherie fiscali che Giuliano permetteva ed incoraggiava, mal altresì le selvagge aggressioni della plebe pagana contro i fedeli. ogni pretesto era buono; ed appena scoppiavano i torbidi, ed i cristiani erano assaliti, spogliati e massacrati, il torto doveva esser di loro e solamente di loro. (…)
Quanto sopra abbiamo riportato (e solo in parte trascritto per ragioni di spazio, ndr) non è tutto; ma basta a farci concludere che Giuliano va messo tra i più esosi inescusabili persecutori pagani della Chiesa: ogni onesta coscienza lo pospone ai grandi persecutori pagani del II e del III secolo, perché infinitamente più scusati dal loro tempo, dal loro ambiente, dalla aperta e franca ostilità anticristiana della maggior parte di loro.

Questo fu il cesare anticristiano: vediamo ora l’imperatore pagano. La prova palpabile del suo squilibrio mentale sta precisamente nella natura e nella misura del suo paganesimo. Mentre infatti voleva essere il gran profeta e teologo di un paganesimo evoluto, di una specie di nebuloso e astruso e indecifrabile gnosticismo pagano del re Sole, figura e verbo della divinità incomprensibile, mentre nei suoi libri e discorsi polemizzava astiosamente contro la teologia cristiana volendola mostrare assurda, grossolana, barbarica, Giuliano si gettava nelle più ridicole e ripugnanti superstizioni di magia divinatoria o di riti osceni, sicché lo burlavano tutti, amici e nemici, quando invasato da quel suo strano bigottismo, celebrava cerimonie non disdegnando la compagnia meretricia che parecchie di esse egli procurava.

Giuliano è accusato di aver compiuto sacrifici umani, specialmente alla vigilia della guerra persiana. Le accuse poterono essere inesatte in qualche particolare: ma sono nel loro insieme troppo concrete, per non avere un fondo di verità. E’ certo che sotto Giuliano rincrudì tra i pagani l’infame superstizione di consultare le viscere dei bambini sventrati vivi.
Tale fu la dommatica e la liturgia del paganesimo riformato che Giuliano oppose alla dommatica ed alla liturgia cristiana. Ma quel pazzo di talento comprese che su un altro gran campo bisognava portare la lotta: quello della disciplina e filantropia del clero.

Egli vedeva l’immensa beneficienza organizzata (oltre l’individuale dei fedeli) dalla Chiesa, di cui abbiamo già studiato la prima ammirabile costituzione, e che certamente continuò sempre più organica e benefica al tempo di Costantino e di Costanzo. A questa grande carità sociale del Cristianesimo, unito alla santa vita di tanti vescovi e chierici, bisognava opporre altrettanto da parte della religione e del clero degli dei; e quel maniaco che col suo ingegno vide una tale necessità, col suo squilibrio s’illuse di soddisfarla; e il sul pomeriggio del secolo IV sognò sacerdoti di Cibele, di Venere e di Bacco diventare persone sante e darsi eroicamente a quel ministero che era stato ignoto a tutto il sacerdozio etnico e giudaico ne’ suoi tempi migliori.

E’ nota la lettera di Giuliano as Arsico gran sacerdote della Galazia: “La religione ellenica secondo me non è ancora in vigore per colpa di chi la professa… Aspettiamo che l’ateismo (il cristianesimo, secondo l’uso pagano, detto ateo perchè non conosceva gli dei) siasi accresciuto con la carità pei pellegrini e pei morti e con la simulata gravità di condotta? Queste cose noi dobbiamo veramente esercitare. Ne basta che tu sii uno di tali, ma tutti i flamini di Galizia debbono fare altrettanto. Raccomando loro di non andare al teatro, e alla bettola e di non esercitare mestieri turpi e indecorosi. Poi dopo aver citato l’inevitabile Omero, Giuliano termina con una calda perorazione per questa inaudita elevazione morale, e sociale del paganesimo.

Quando il reverendo clero cibeleo avrò avuto comunicazione da Arsacio della pastorale del pontefice massimo Giuliano, probabilmente avrà pregato la gran Madre degli dei perché facesse rinsavire quel povero imperatore che dava evidenti segni di pazzia ragionante. Giacchè se i sacerdoti di Cibele dovevano lasciare teatri e bettole e turpi mestieri per fare gli astinenti, i filantropi e gli ospedalieri, tanto valeva che si facessero cristiani.

Questa lezione delle cose Giuliano non lo capiva. Ma noi siamo indulgenti, ancora una volta, con questo squilibrato del secolo IV (…). Gregorio Nazienzeno osserva a proposito di Giuliano: “peccato che, non durò tanto da tentare davvero l’imitazione! Avremmo avuto un bel raffronto tra i gesti dell’uomo e quelli della scimmia”.
Sul campo della sconfitta, preparandosi tranquillamente a morire, da filosofo stoico, in mezzo ai suoi generali, – nella suprema chiara visione di cui la vita fuggente fa un dono d’addio anche a molti sin allora immersi nell’allucinazione o nel coma – Giuliano vide forse il definito fallimento della sua impresa pagana, il dileguarsi per sempre della passeggera nube idolatrica nel cielo ormai cristiano dell’impero e della civiltà di Roma?

Sembra che si, se riflettasi alle sue parole ed a tutto il suo contegno. Ai generali non disse una parola del suo programma, non alluse alla continuazione della lotta anticristiana, non vi provvide nemmeno col disegnare un successore fedele ad essa, ma lasciò ai capi dell’esercito una tale scelta che cui dipendeva l’eventualità di un definitivo trionfo cristiano come di fatto avvenne.

Il leggendario “Galileo, hai vinto” egli non disse realmente, non colla sua voce ma col il suo silenzio: eloquente silenzio dei grandi dolori che sono muti.
Ridicoli furono gli enciclopedisti e i volterriani del secolo XVIII che vollero fare un torto precursore razionalista di quel bigotto della magia. Anche oggi gli autori anticristiani abbondano nei tentativi di giustificare Giuliano, sfigurandone la mentalità e l’opera.

Nel corso di queste pagine ci è avvenuto di ripetere a vicenda per Giuliano i nomi di pazzo e di cattivo. Il grado della sua responsabilità di coscienza non è facile matematicamente a determinarsi, come in un ambulatorio di psicopatia; ma la sintesi della sua vita ci dà il concreto criterio che il suo squilibrio mentale fu nell’apprezzamento della salvabilità e riformabilità del paganesimo, nel cieco feticismo dell’ellenismo e nel non meno cinico disprezzo della “barbarie” cristiana; che le sue grottesche e sanguinarie superstizioni furono degne di un pazzo; ma che l’iniquità della sua persecuzione e dei suoi mezzi ipocriti e crudeli da lui adibiti non poteva sfuggire a lui che pur era tanto arguto nello scoprire errori e colpe negli avversari, e che predicava l’umiltà e la tolleranza. Un simile squilibrio mentale ed una simile responsabilità morale non elidono, perché riguardano punti diversi.

Ma nemmeno i suoi pagani lo presero sul serio: e questo è tutto dire. Giorgio Nazienzeno rammenta che Giuliano faceva ridire anche i correligionari coll’affannarsi a soffiare attorno al sacro fuoco. In realtà, i pagani suoi contemporanei erano scettici e gaudenti che non comprendevano e perciò disprezzavano lo zelo bigotto di Giuliano.

Appena spirato, i capi dell’esercito circondato dai persiani, elessero ad imperatore Gioviano il prode cristiano già esiliato da Giuliano e poi richiamato da lui nella stretta del bisogno per la guerra. Gioviano tentò di schernirsi dicendo ai soldati. Come volete che io sia vostro imperatore, io che sono cristiano? Siamo tutti cristiani! Risposero i colleghi, anche quelli che pur dianzi avevano steso la mano compiacete a bruciare l’incenso davanti agli idoli del morto.
E questo fu il vero e maggiore seppellimento di Giuliano l’Apostata.

(Tratto da: Mons. Umberto benigni, Storia Sociale della Chiesa, Vol. II, t. I, Casa Editrice Vallardi, Milano 1912, pagg. 250 – 271)