2012 Comunicati  29 / 11 / 2012

Arriva la nuova sanità: ricordati che devi morire

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 103/12 del 29 novembre 2012, San Saturnino

Monti, a rischio Servizio Sanitario Nazionale

PALERMO – La sostenibilità futura del Servizio Sanitario Nazionale potrebbe “non essere garantita”. Ad affermarlo è il presidente del Consiglio Mario Monti che oggi è intervenuto in videoconferenza in occasione della presentazione a Palermo del progetto del nuovo Centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica della Fondazione Rimed. La crisi, ha sottolineato Monti, “ha colpito tutti ed il campo medico non è una eccezione. La sostenibilità futura dei sistemi sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri – ha avvertito il premier – potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni. La posta in palio – ha concluso Monti – è altissima”. (…)
Ansa

Per risparmiare un miliardo di sterline l’anno, l’Inghilterra decide di decimare gli anziani
di Elisabetta Del Soldato

Ogni medico di base dovrà inserire un malato su cento in un elenco di pazienti ai quali chiedere di poter interrompere le cure.
Il sistema Sanitario nazionale della Gran Bretagna sta facendo i conti con la recessione e i primi a rimetterci sono i più vunerabili: gli anziani, i malati terminali, le persone dichiarate morte ancor prima che lo siano, perché cercare di salvarle o di farle stare meglio costa troppo. Qualche giorno fa uno dei sottosegretari alla Sanità, il liberaldemocratico Norman Lamb, non ha esitato a invitare i medici di base a compilare una lista dei loro pazienti che potrebbero morire entro un anno. Una volta identificati, i malati terminali saranno chiamati a un incontro col medico che gli chiederà dove preferiscono morire e se vogliono scrivere o dettare un testamento biologico in cui danno il permesso ai medici di sospendere medicinali e nutrizione quando si annuncerà la fine.
Lamb, che ha annunciato il progetto del governo a una recente conferenza sul fine vita, ha detto di aspettarsi che per ogni medico almeno un paziente su cento entri nella lista dei ‘terminabili’. I motivi sono molto pragmatici: «Un quarto dei letti negli ospedali sono occupati da malati terminali – ha spiegato –, e tra loro quattro su dieci non richiedono cure mediche. Se queste persone fossero ammesse una volta in meno al pronto soccorso la Sanità risparmierebbe un miliardo e 350 milioni di sterline l’anno», circa un miliardo e mezzo di euro.
L’esponente del governo conservatore­liberale non ha specificato quale sarà il destino dei malati finiti in quella che vari giornali britannici hanno ribattezzato «lista della morte». Ma è molto probabile che saranno destinati al «Liverpool Care Pathway», un protocollo adottato per la prima volta negli anni Novanta in un ospedale della città portuale, e che dal 2004, dopo essere stato raccomandato dal National Institute for Health and Clinical Excellence, è diventato pratica comune nelle istituzioni sanitarie del Regno. Sulla carta «Lcp» si presenta come un programma di fine vita per rendere l’ultimo periodo di un paziente più tollerabile, nel Paese che è culla delle cure palliative. In realtà il protocollo ha finito col tradursi anche nella sospensione di cure e nutrizione e nella somministrazione di forti sedativi a persone classificate «vicine alla morte».
Ogni anno il sistema sanitario nazionale registra 450mila decessi nelle sue strutture; di questi, 130 mila sono di persone sottoposte al «Lcp» in modo proprio o improprio. Il Ministero della Sanità, dopo le molteplici controversie sollevate dal programma, ha più volte tenuto a ribadire che il Liverpool Care Pathweay non è equiparabile all’eutanasia, che i pazienti che vi sono sottoposti vengono monitorati e possono essere tolti dal protocollo se mostrano un miglioramento. Ma negli ultimi mesi sono fioccate sempre più insistenti e numerose le denunce di famiglie che accusano i medici di aver introdotto i loro cari nel programma quando in realtà questi non stavano affatto morendo e di averne accelerato il decesso a causa della sospensione di cure e nutrizione.
Mary Cooper, 79 anni, uno dei tanti esempi, è morta in giugno pochi giorni dopo il ricovero al Queen Elizabeth Hospital di King’s Lynn, nel Norfolk. La sua famiglia sostiene di non essere mai stata avvisata del fatto che la donna fosse stata inserita nel programma.
«Ci hanno informati – denuncia il marito – quando ormai per Mary era troppo tardi». L’ospedale dice di aver discusso la questione con la famiglia e che questa era d’accordo.
Ma secondo la figlia l’ospedale non è mai stato chiaro: «I medici ci hanno detto che l’avrebbero aiutata a sentire meno dolore possibile, ma non ci hanno spiegato esattamente quello che avrebbero fatto».
La settimana scorsa un uomo la cui madre è morta dopo essere stata sottoposta per trenta ore al Lcp al Western General Hospital di Edinburgo ha chiesto alla polizia di investigare. Paul Tulloch è convinto che la madre Jean di 83 anni potesse sopravvivere e sostiene di essere stato ignorato dai medici quando ha chiesto che venisse ritirata dal protocollo.
L’anno scorso un rapporto del Royal College of Physicians ha rivelato che nel 4% dei casi i familiari non vengono informati della decisione di sottoporre un paziente al Lcp. E ora anche l’autorevole oncologo Mark Glaser condanna il Liverpool Care Pathway dicendo che si tratta di «un sistema corrotto e scandaloso che serve solo per liberare i letti degli ospedali occupati dagli anziani e per raggiungere obiettivi premiati con più soldi».
Bastabugie.it

Un milione di malati in fila greci curati dalle Ong internazionale
di Livini Ettore

Una catastrofe umanitaria innescata dai tagli alla sanità.
ATENE — Helena Dimitriadis e il suo bel pancione («di sette mesi, due gemelli!») oggi ce l’hanno fatta. «I novecento euro da pagare per esami e parto non ce li ho», si scusa lei. Così stamattina si è alzata alle 6.30, ha preso il tram dal Pireo e adesso è in pole position («devo fare la flusso-metria dopplen») tra i fantasmi della sanità greca in coda sotto il tiepido sole ateniese davanti alla porta dell’ospedale di Doctors of the World, ad Atene. Il serpentone umano dietro di lei è colorato e lungo. Duecento persone in paziente attesa di un a visita o di una vaccinazione gratuita nella clinica della Ong, l’avamposto di quegli 1,2 milioni di “dannati” che — per il solo peccato di essere disoccupati da più di un anno in Grecia (e in Europa) — hanno perso il più elementare dei diritti: quello alla salute. Un esercito invisibile senza mutua, cure e medicinali se non a pagamento. «Vede la gente là sotto? — dice amaro dal suo studio Nikitas Kasaris, responsabile di Doctorsofthe World—. E’ una catastrofe umanitaria. Ogni giorno la coda è più lunga. Siamo sull’orlo del crac sociale». La Troika ha acceso i fari sulla tragedia del bilancio ellenico. Ma lontano dai riflettori della crisi finanziaria «si sta consumando una tragedia silenziosa» dove i danni non si contano in euro ma in vite umane. Soldi, nel paese, non ce ne sono più. «Ed essere poveri e malati nella Grecia di oggi è un’Odissea», assicura quello che qui tutti chiamano l’angelo di Atene. L’austerity ha costretto il governo a ridurre da 15 a 11,5 miliardi in tre anni i fondi perla sanità. Obiettivo ufficiale: ridurre gli sprechi in un sistema dove per farsi operare bisognava pagare una “falekaki” (alias mazzetta) tra 150 e 7.500 euro (dati Transparency International) e dove le forniture ospedaliere costavano quasi il doppio del resto dell’Europa. I risultati sono stati però differenti. «Abbiamo innescato una bomba ad orologeria pronta a scoppiare», dice Katerina Kanziki, 25enne infermiera volontaria alla clinica di Psiri. «Le nostre farmacie hanno finito le scorte di 100 medicinali di prima necessità tra cui insulina e ipertensivi» ha annunciato venerdì l’associazione panellenica di settore. «Abbiamo esaurito gli anti-retrovirali per i malati di Aids e non ci sono soldi per ordinarli», hanno scritto al ministero della salute i medici dello Tzaneio al Pireo. «Noi siamo senza siringhe, guanti chirurgici e cotone per operare la gente», snocciola Thomas Zelenitas, rappresentante dei dipendenti dell’ospedale Geniko Kratico. Appelli destinati a cadere nel vuoto: lo Stato versa in ritardo di mesi gli stipendiai medici e molte multinazionali (la Merck l’ha fatto persino con un anti-cancro) hanno sospeso o rallentato le forniture di farmaci perché la Grecia, in arretrato di 2 miliardi, non onora i suoi debiti sanitari. Il risultato è scontato: festeggiano virus e parassiti (nell’Est dell’Attica è ricomparsa dopo decenni una forma endemica di malaria) e pagano i più deboli. «Tre anni fa da noi venivano solo immigrati—calcola Kasiris. Oggi il 50% dei pazienti di Doctors of the World è greco». Christos Kasirs, appoggiato al suo bastone di ciliegio di fronte alla farmacia di piazza Dragatsaniou ad Atene, è una delle vittime collaterali di questo disastro. «Guardi qua — borbotta aggrottando le sopracciglia bianche— 75 euro per 12 pastiglie». Lui degli antiartritici non può fare a meno («senza, non riesco nemmeno ad alzarmi dalla poltrona…». Il problema è che la ricetta della mutua che ha in tasca è carta straccia. Il governo non rimborsa le farmacie. E loro, per rappresaglia, fanno pagare il prezzo pieno ai clienti. «Non ho scelta! — dice Maria Hatzidimitriou, farmacista con i capelli rossi e gli occhi color ghiaccio che ha fatto strapagare gli antiartritici a Christos—. Cosa crede? Spiace anche a me. E a chi ha bisogno davvero facciamo credito. Lo Stato mi deve 40mila euro. Se va avanti così, chiudo». Come è successo a cento suoi colleghi che negli ultimi mesi si sono visti sequestrare il negozio dalle banche. «E’ vero, le cose vanno male. Ma stiamo provando a rimettere in piedi un sistema al collasso — dice dal suo ufficio vista Egeo Michael Theodorou, numero uno di Evangelismos, l’ospedale più grande del Paese—. Guardi i nostri conti: nel 2009 spendevamo 157 milioni l’anno, oggi siamo a 113 senza aver tagliato servizi e qualità». Un miracolo? No, basta andar giù di forbice dove gli sprechi sono più evidenti. «Fino a tre anni fa il corpo medico prescriveva i farmaci più costosi e incassava sottobanco le mance delle compagnie farmaceutiche», racconta in corridoio uno dei più noti fisioterapisti dell’istituto. Oggi si comprano i medicinali on line, privilegiando i generici, e i risultati si vedono: «Il costo dei farmaci è crollato in due anni da 39 a 26 milioni malgrado i pazienti siano cresciuti de120%», conferma Theodorou. Peccato non sia bastato a debellare i “furbetti della corsia”. «Che devo fare? Mi hanno ridotto lo stipendio da 1.300 a900 euro — ammette un pediatra dell’ospedale — e ho il mutuo da pagare. Non ho scelta, curo in nero molti più pazienti di prima!». Vecchia storia. Quando gli agenti del fisco di Atene hanno passato ai raggi X i 150 primari di Kolonald, il quartiere più elegante della capitale, hanno scoperto — senza sorprendersi più di tanto—che più della metà dichiarava meno di 30mila euro l’anno. Pagassero le tasse pure loro, forse i gemelli di Helena potrebbero davvero sperare di vivere in un Grecia migliore di questa.
Rassegna Stampa Empoli