2013 Comunicati  11 / 12 / 2013

Togliere le pensioni a Detroit? Yes we can

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 103/13 dell’11 dicembre 2013, San Damaso

Detroit, la bancarotta del sistema
di Michele Paris

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Con una sentenza interamente politica e dalle chiarissime connotazioni di classe, un giudice fallimentare americano nella giornata di martedì ha stabilito la legittimità della procedura di bancarotta presentata da Detroit, dando di fatto il via libera all’assalto alle pensioni di decine di migliaia di ex dipendenti pubblici e alla liquidazione dei rimanenti beni cittadini. Quello della metropoli del Michigan è il fallimento municipale più importante della storia degli Stati Uniti ed è giunto dopo mesi di manovre dietro le quinte da parte di un’intera classe politica che è riuscita a creare un vero e proprio modello di comportamento per altre amministrazioni locali in difficoltà finanziarie, intenzionate a calpestare leggi e norme costituzionali per smantellare i benefici conquistati dai lavoratori con anni di sacrifici. Il punto più critico e dalle conseguenze potenzialmente più disastrose del verdetto letto dal giudice federale Steven Rhodes stabilisce che, contrariamente a quanto fissato nella Costituzione statale del Michigan, la città di Detroit non ha alcun obbligo di mantenere i propri impegni finanziari nei confronti dei dipendenti municipali in pensione.

Nel processo di fallimento, cioè, gli amministratori cittadini potranno ridurre drasticamente i benefit pensionistici già accumulati, così da poter rimborsare i creditori, in gran parte rappresentati da banche e istituti finanziari. La decisione del giudice Rhodes istituisce un pericolosissimo precedente legale, grazie al quale le amministrazioni locali negli Stati Uniti potranno appellarsi alla legislazione fallimentare per cancellare le protezioni garantite alle pensioni dei lavoratori del settore pubblico. Per quanto riguarda Detroit, la bancarotta si tradurrà in sacrifici spesso devastanti per più di 23 mila persone. Come ha spiegato un commento apparso mercoledì sul New York Times, questa sentenza avrà conseguenze “a Chicago, Los Angeles, Philadelphia e in molte altre città americane” alle prese con il peso crescente dei costi pensionistici.

Per un avvocato di Chicago esperto in diritto fallimentare sentito sempre dal quotidiano newyorchese, infatti, “nessun tribunale fallimentare aveva finora deliberato che le pensioni dei dipendenti pubblici non debbano essere necessariamente protette da un procedimento federale di bancarotta”, così che la sentenza del giudice Rhodes risulterà “istruttiva” per molti. L’opzione del fallimento per una delle città in passato più floride e produttive degli Stati Uniti è stata perseguita con determinazione da mesi dal commissario straordinario di Detroit, l’avvocato di Wall Street vicino agli ambienti del Partito Democratico, Kevyn Orr. Nominato lo scorso mese di marzo dal governatore repubblicano del Michigan, Rick Snyder, quest’ultimo dopo la sentenza di martedì ha subito minacciato che ci saranno “decisioni molto difficili da prendere in merito alle pensioni”. Entro i primi giorni dell’anno, Orr presenterà un “piano di aggiustamento” per pagare una parte dei 18 miliardi di dollari di debiti che gravano su Detroit.

Nei prossimi mesi, perciò, oltre a condurre un attacco frontale contro le pensioni pubbliche, il commissario non eletto di Detroit procederà alla svendita di beni e aziende della città, compresi probabilmente i capolavori dell’arte conservati nel Detroit Institute of Art (DIA). Questa collezione è una delle più importanti a livello municipale degli Stati Uniti e conserva opere, tra gli altri, di Bruegel, Caravaggio, Cézanne, Picasso, Renoir e Van Gogh, nonché lo straordinario ciclo di affreschi murali di Diego Rivera che documentano la storia della classe operaia a Detroit. Da tempo, Orr ha incaricato la casa d’aste Christie’s di stimare il valore delle opere del DIA in vista di una possibile svendita che andrebbe a beneficio di alcuni esponenti dell’aristocrazia parassitaria statunitense, mentre un importante sindacato nelle scorse settimane si era unito ai creditori della città nel chiedere ogni sforzo per ricavare il massimo dai capolavori d’arte, definiti apertamente come servizi “non essenziali” per la popolazione di Detroit.

Nel decretare la legittimità del procedimento di bancarotta, il giudice Rhodes ha inoltre respinto la tesi di coloro che sostenevano, con piena ragione, che la richiesta di fallimento fosse stata avanzata in “cattiva fede” e a seguito di consultazioni segrete tra il commissario straordinario Orr, il governatore Snyder e altri esponenti politici locali e dell’industria finanziaria. Una serie di rivelazioni nei mesi scorsi aveva messo in luce come questi ultimi avessero di fatto congiurato dietro le spalle degli abitanti di Detroit per giungere ad un procedimento fallimentare, considerato come la via più breve per “ristrutturare” pensioni, assicurazioni mediche e servizi pubblici che molto difficilmente avrebbero potuto essere toccati attraverso la strada del negoziato con le organizzazioni sindacali o perché protetti dalla Costituzione dello stato. Proprio questa strategia, d’altra parte, è stata ratificata dal giudice Rhodes martedì, quando, pur riconoscendo che il commissario Orr non aveva effettivamente provato a trattare con i creditori per evitare la bancarotta della città come prevede la legge, ha stabilito che la strada dei negoziati era “impraticabile”, visto che le parti coinvolte erano più di 100 mila e Detroit si trovava ormai in una situazione finanziaria disperata.

Il baratro in cui si troverebbe Detroit, oltre ad essere stato ingigantito da Orr e dagli altri principali esponenti politici locali, non è però in nessun modo il risultato di una “dipendenza da debito” o dell’elargizione di benefici “insostenibili” o “eccessivamente generosi” ai dipendenti della città nel corso degli anni. Come ha dimostrato un recente studio del think tank Demos, infatti, la crisi finanziaria della città del Michigan è dovuta in gran parte a prestiti-truffa estorti da compagnie finanziarie senza scrupoli e ad altri strumenti sottoscritti con svariate banche e creditori che ora finiranno per beneficiare maggiormente del procedimento fallimentare. Più in generale, la ricerca ha messo in luce come la crisi finanziaria sia il risultato del “declino delle entrate cittadine durante il processo di de-industrializzazione” patito da Detroit negli ultimi decenni, ma anche “della disoccupazione di massa, dell’aumento della povertà e dei benefici fiscali assicurati alle corporations” che ne sono conseguiti. “Contrariamente a quanto si crede”, continua poi il documento di Demos, “Detroit non ha un problema di spesa eccessiva”, dal momento che dall’inizio della recessione nel 2008 “le uscite complessive della città sono scese di 356,3 milioni di dollari”, mentre “a salire vertiginosamente sono stati i costi finanziari”. A tutto ciò vanno aggiunti i tagli colossali dei fondi tradizionalmente trasferiti alle municipalità del Michigan dallo stato stesso e che ammontano, solo negli ultimi anni sotto la responsabilità del governatore Snyder e del suo predecessore, la democratica Jennifer Granholm, a più di 700 milioni di dollari per la sola città di Detroit.

La sorte di Detroit e dei suoi abitanti, perciò, è stata segnata questa settimana da una decisione puramente politica che, andando contro la legalità e l’evidenza dei fatti, assegna alla classe dirigente americana un altro strumento formidabile per procedere nella drammatica ristrutturazione dei rapporti di classe negli Stati Uniti, dopo che da tempo i procedimenti di bancarotta vengono usati dalle grandi compagnie private per ottenere una riduzione dei costi tramite il peggioramento delle condizioni economiche e di lavoro dei propri dipendenti. Il fallimento di Detroit e la nuova devastazione sociale prescritta ad una città che ha perso metà della propria popolazione negli ultimi cinquant’anni darà così il via ad un inevitabile effetto domino in tutto il paese. Significativamente, solo alcune ore dopo la sentenza del giudice Rhodes, il parlamento locale del vicino Illinois ha approvato un pacchetto di tagli al sistema pensionistico statale, anche in questo caso calpestando le garanzie previste dalla Costituzione. Molte altre città americane, infine, hanno già annunciato di essere pronte a seguire l’esempio di Detroit, a cominciare dalla californiana Stockton – la città più grande degli USA a presentare istanza di fallimento prima della metropoli del Michigan – dove fino a martedì il piano di ristrutturazione delle autorità locali aveva lasciato inalterate le pensioni dei dipendenti pubblici, i quali ora si troveranno invece esposti a nuovi pesanti attacchi alle loro condizioni di vita.

 

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