Siria: la vita nei villaggi cristiani occupati dai jihadisti
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 72/ 25 del 29 ottobre 2025, San Narciso
Siria: la vita nei villaggi cristiani occupati dai jihadisti
La storia di Basem
Le bandiere turche svettano sui terrapieni ai lati della strada. I drappi con la mezzaluna bianca su sfondo rosso sono un punto fisso, oltre alle buche provocate dai bombardamenti, mentre si percorre la via per raggiungere Idlib.
La provincia siriana governata da Al Jolani è da tempo sotto l’egida di un nuovo padrone, tanto che anche l’elettricità, così come la moneta, sono fornite da Ankara. A pochi chilometri dal confine turco sorgono due villaggi – Knaye e Yacoubieh – dove la piccola minoranza cristiana ha vissuto anni terribili, oppressa senza alcun riguardo dai gruppi più radicali. Al Nusra, Daesh e i ribelli di varia natura si sono alternati al governo di questo luogo che un tempo ha visto il passaggio dell’apostolo Paolo verso Antiochia.
Dopo la caduta di Assad e la riunificazione del Paese le croci sono tornate sulle chiese, anche se lo stucco bianco usato per nascondere alcuni simboli cristiani copre ancora antiche icone. E i graffiti scritti sul convento francescano, l’unico del Paese, sono ancora ben visibili. “L’Islam è l’unica religione di Dio”, si legge.
È la firma indelebile dei jihadisti. Le donne cristiane che vanno nella piccola chiesetta entrano col velo. Meglio non suscitare inutili litigi e toglierselo una volta entrate, lontano da occhi indiscreti. Per i sacerdoti, indossare l’abito religioso nelle vie è poco consigliato, specialmente in certe zone ancora frequentate dai jihadisti (e si vedono in giro, rigorosamente con tunica, mitra e barba lunga).
Qui vive Basem: ha solo 42 anni, ma dalle rughe sul volto sembra abbia vissuto già una vita intera. Una vita piena di fatiche e di sofferenza. Il tuttofare del convento abita a Knaye, un piccolo villaggio nella occupato negli anni della guerra siriana dai gruppi più radicali. Al Qaeda, lo Stato Islamico e i ribelli si sono passati il testimone nell’opprimere la piccola minoranza cristiana che abita questo antichissimo paese. Un luogo che ha visto il passaggio dell’apostolo Paolo verso Antiochia. Con la sua famiglia, Basem non ha mai lasciato questa terra piena di ulivi e di verde, quasi un’oasi se paragonata alle zone del Paese dove le bombe hanno bruciato tutto.
Basem ha vissuto tutti questi anni di guerra cercando di sopravvivere alla furia islamista e ai ricatti dei ribelli. Un piccolo orto, la raccolta delle olive che ogni anno gli garantiva una piccola rendita, qualche lavoretto qua e là: la vita era dura ma serena prima che arrivassero i fanatici della Jihad. Cristiano, parrocchiano di padre Hanna, ha sempre condotto una vita semplice divisa tra lavoro, chiesa e famiglia.
Un giorno, nel 2013, le brigate di Al Nusra appena occupata la provincia di Idlib arrivano a prendere anche lui. Lo rapiscono mentre sta lavorando nell’orto. Lo minacciano, lo picchiano a sangue. E poi l’ultimo avvertimento: “O ti converti all’islam, o ti ammazziamo”. Uno di loro gli tiene il coltello sulla gola. Basem non può far nulla, è stremato: non riesce a parlare, e sente il respiro sempre più corto. “A un certo punto – racconta – ero come morto. Non riuscivo più a dire una parola. Ed ecco che dentro di me sento una voce, chiara e limpida. Non temere, io sono con te. Non temere. Sono con te. Sentivo questo. Ed improvvisamente mi sono sentito l’uomo più forte del mondo”.
Basem a quel punto reagisce e sfida i terroristi: “Gli ho detto che non mi sarei convertito. Che ero cristiano e non avrei abbandonato Gesù”. I jihadisti che fino a un momento fa erano pronti a ucciderlo si fermano. Non hanno più il coraggio di fargli del male. Basem si alza e li guarda negli occhi. Discutono. Li affronta a viso aperto: “Voi non conoscete Dio, perché Dio è buono e non uccide!”. A quel punto un ultimo colpo di fucile lo fa svenire. Ma sopravvive e viene portato in carcere, dove starà per quindici giorni. Una nuova vita gli era stata donata. Gli anni che seguono sono pieni di difficoltà economiche. Per sopravvivere decide di aprire una cartoleria, ma i musulmani che arrivano nel negozio prendono la merce senza pagare.
“Dicevano che non erano tenuti a pagare niente un cristiano”. La vita è dura, e nel 2023 arriva il terremoto. “Quel giorno ho perso il negozio e la mia casa. Sono andato a vivere in una tenda, con mia moglie e i miei figli (uno dei quali con una grave disabilità, ndr)”.
Per sei mesi, Basem vive da profugo in casa sua. Fino a quando, grazie a un progetto di Pro Terra Sancta, ha avuto la possibilità di riparare la casa. “Ora posso tornare a vivere con loro, a prendermi cura dei figli, specialmente di George, che ha bisogno di più attenzioni”. È stanco e affaticato. Ma ringrazia Dio ogni istante. Per avergli dato una forza che non era la sua.
Perché anche per gli agnelli che si trovano tra i lupi vale la promessa di Chi una volta disse: “Niente potrà farvi del male”.
Fonte. PROGETTI PRO TERRA SANCTA, n. 3, 2025, pagg 8-9.
La croce è stata cancellata anche dallo stemma della Custodia di Terra Santa.

