2014 Comunicati  27 / 11 / 2014

Rassegna stampa del 27.11.2014 (i titoli sono redazionali)

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 94/14 del 27 novembre 2014, Medaglia Miracolosa

In rilievo – Quando la realtà supera la fantasia
“Nasce il primo fondo islamico: lo guida un uomo d’affari ebreo”

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Figli di Budda
(27/7/2014) – Occidente il buddismo è sinonimo di pace, compassione, saggezza, fratellanza ecumenica. Così come avviene per la sua figura più nota, il Dalai Lama. In più il buddismo ha fama di religione perseguitata, e il Tibet ne è l’emblema. Ma a leggere l’ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo reso pubblico a Roma il 25 giugno 2004 dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre, balza evidente un dato di segno opposto. In quasi tutti gli stati dell’Asia dove il buddismo è maggioranza, infierisce la repressione religiosa. E questa colpisce tutte le religioni che non siano il buddismo. Il caso più clamoroso è forse quello del Myanmar, lo stato che in passato aveva nome Birmania. Sul numero di giugno del mensile americano Crisis è uscito un reportage di Benedict Rogers che dà conto dell’implacabile persecuzione delle minoranze cristiane e musulmane, con tanto di conversioni forzate al buddismo. (…) In un’altra classifica sulle persecuzioni dei cristiani, curata da Open Doors, figura al terzo posto un altro stato a dominante buddista, il Laos. (…)
L’Espresso

Le politiche contro la famiglia del “cattolico” Renzi
(5/11/2014) ROMA – “Sono passate sotto silenzio alcune prese di posizione del governo italiano sulla famiglia a livello internazionale. Silenziate, ma non per questo sono meno gravi”. Non lesina parole dure Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, a proposito dell’atteggiamento assunto dall’Italia negli ultimi tempi in sedi sovranazionali. “All’Onu il nostro Paese, insieme ai Paesi ricchi, ha votato contro una risoluzione presentata da Paesi in via di sviluppo che chiedeva maggiore tutela della famiglia”, ricorda Belletti. Il quale si chiede: “Perché il governo italiano non ha votato questa risoluzione che voleva solo ‘promuovere’ la famiglia naturale, tra l’altro una delle istituzioni alla base della nostra Costituzione? C’era qualcosa di sbagliato, in quella risoluzione oppure è solo l’ennesimo episodio di una guerra senza quartiere contro la famiglia ‘naturale’?”. Dal Palazzo di Vetro a Bruxelles, la musica non cambia. In Europa il governo italiano, in occasione del semestre di guida della Ue ha organizzato il 28 ottobre una ‘Conferenza di alto livello’ il cui tema era ‘Far fronte alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere: prossimi passi nella definizione delle politiche Ue e dei Paesi membri’. Tra i protagonisti di questa conferenza c’era Ivan Scalfarotto, sottosegretario a Riforme e Rapporti col Parlamento, e la Commissaria uscente alla Giustizia Martine Reicherts, “che davanti a 250 responsabili politici e attivisti nel campo dei diritti omosessuali provenienti da tutta l’Ue, ha chiesto risposte politiche efficaci e mirate, proponendo scorciatoie deliberative, come la ‘cooperazione rafforzata’, che consentirebbe di vincere la resistenza di quegli Stati che si ostinano a non riconoscere le richieste della lobby”. (…)
Zenit.org

Cina: l’ateismo dei trinariciuti capital-comunisti
(15/11/2014) Pechino – I membri del Partito comunista “non devono e non possono credere in alcuna religione. Si tratta di un principio inamovibile, importante dal punto di vista ideologico e organizzativo, che è stato affermato sin dalla fondazione del Pcc. Non ci possono essere dubbi al riguardo”. È il senso di un editoriale firmato da Zhu Weiqun, presidente della Commissione per gli affari etnici e religiosi della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese, apparso ieri sul Global Times (la versione internazionale del Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito). L’articolo è stato pubblicato dopo le critiche mosse dalla Commissione centrale per l’ispezione e la disciplina ad alcuni funzionari locali del Partito, “scoperti” mentre prendevano parte ad attività religiose di vario tipo e identificati come fedeli. La potentissima Commissione è il braccio armato del Pcc, che sta conducendo su ordine del presidente Xi Jinping una capillare inchiesta sulla corruzione – economica e morale – dei membri e dei quadri comunisti nel Partito. (…)
Asianews

Cosa pensa l’Occidente dello schiavismo in Qatar?
(18/11/2014) ROMA – A poco sono servite le promesse fatte dal governo di Doha, che a maggio 2014 aveva messo sul tavolo una serie di riforme per combattere lo sfruttamento dei lavoratori migranti, in vista dei mondiali di calcio del 2022. Dopo sei mesi, niente è cambiato: salari e condizioni di lavoro continuano a violare i diritti fondamentali dei lavoratori. A dirlo il rapporto di Amnesty international “No time extra: How Qatar is still failing on workers’ rights”. Sotto accusa sono soprattutto due leggi: la Kafala e la norma che definisce le modalità d’uscita dal paese degli stranieri. Il sistema della Kafala prevede che il datore di lavoro faccia da “sponsor” e diventi responsabile del visto e dello status sociale del migrante, innescando un sistema di ricattabilità che spesso sfocia nel lavoro forzato. Nel secondo caso invece, il principale può monitorare gli spostamenti del dipendente fino al punto di poter vietargli l’uscita dal paese. Sponsorizzazione e norme d’uscita sono solo due delle gravi violazioni riportate dalle organizzazioni umanitarie. A queste vanno aggiunti salari irrisori, condizioni di lavoro insicure, abusi fisici e psicologici e povertà estrema. “Nonostante le ripetute promesse in vista della Coppa del Mondo – afferma Sherif Elsayed-Ali, responsabile Amnesty dei diritti di migranti e rifugiati – il governo del Qatar non ha ancora attuato nessuno dei cambiamenti più importanti, come l’abolizione del permesso di uscita e la revisione del sistema di sponsorizzazione abusiva”. (…)
Repubblica

Torino: le gonne “etniche” delle bidelle rom
(20/11/2014) – Il padre di uno scolaro delle elementari Giovanni Cena di strada San Mauro, Torino, si è presentato nei giorni scorsi davanti ai responsabili dell’istituto, sollevando una polemica. Lui, come (pare) altri genitori, non vorrebbe bidelli Rom all’interno della scuola. «E’ uno scandalo – ha detto – in un momento in cui ci sono tanti italiani senza lavoro che la pubblica istituzione abbia assunto i Rom». Gli echi di questo episodio che la preside reggente Marcellina Longhi definisce in modo chiaro «di ingiustificata intolleranza» sono stati raccolti da altri genitori, a loro volta contrari. Ma Cristina Ferrando, responsabile dei progetti di inserimento della scuola e la preside vicaria, Nadia Fusco, non sembrano avere affatto timore di questa protesta – con un accento critico persino sull’abbigliamento della Rom che ogni giorno si prende cura della pulizia di aule e laboratori. «Intanto non sono stati assunti come “bidelli”, né percepiscono uno stipendio dallo Stato; sono stati inseriti nel progetto Clean-Idea Rom, che ha lo scopo – con un borsa lavoro di 300 ore – di creare le premesse di una vera integrazione, in un complesso scolastico dove sono iscritti 72 bambini Rom che risiedono nei campi vicini». 36 anni, Geta C. e di un ragazzo, Vasile C., di 19 anni; entrano in servizio alle 13,30 sino alle 17,30. Geta indossa i vestiti tradizionali ma s’è comprata con i suoi soldi un grembiule e le scarpe del tipo usato dal personale tecnico. Sono persone, come vuole il regolamento della borsa lavoro, incensurate, in grado di esprimersi bene in italiano; oltre ai lavori manuali, spiega la preside, Geta e Vasile sono preziosi mediatori culturali tra la scuola e le famiglie dei bimbi Rom. Svolgono dunque una funzione importante «che – dice Ferrando – colma i vuoti dovuti ai tagli e ai risparmi dell’organizzazione scolastica, il loro contributo per noi è importante, se non piace il loro modo di vestire, vorrà dire che alla prossima riunione, ci presenteremo con gonne etniche, per non rimarcare le differenze».
La Stampa

Una nuova ricetta: il pollo al crisantemo
Gli attivisti per i diritti degli animali “Direct Action Everywhere” hanno messo in scena il funerale di un pollo congelato in un supermercato in California, con tanto di fiori, abiti neri e una piccola bara. Nel video, un giovane mette il “cibo” nella bara prima di partire con l’elogio funebre dell’animale e spiegare come il pollo abbia avuto una vita “ricca ed emozionante” e un animo “curioso” mentre gli altri manifestanti in coro hanno iniziato ad urlare: “Non è cibo, è violenza”. I clienti e i dipendenti del negozio di Berkeley hanno cercato di interrompere la protesta nel modo più efficace , ovvero urlando:“Bacon, pancetta, speck …” prima dell’arrivo della polizia e la fine del “funerale”.
La Stampa