2020 Comunicati  07 / 10 / 2020

Lepanto, 7 ottobre 1571: l’Europa di San Pio V sconfigge l’Islam

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza8305926596_9f6d79f826_b
Comunicato n. 84/20 del 7 ottobre 2020, Regina del SS. Rosario

Lepanto, 7 ottobre 1571: l’Europa di San Pio V sconfigge l’Islam

Nel 1571, davanti alla minaccia ottomana, gli stati cattolici costituirono la Lega Santa, promossa dall’azione di Papa San Pio V per salvare la Cristianità. Ricordiamo la vittoria di Lepanto del 7 ottobre 1571 con una scheda del Comune di Lanuvio, paese natale di Marcantonio Colonna, uno dei principali protagonisti della battaglia navale.

LA BATTAGLIA DI LEPANTO è uno degli scontri navali più celebri nella storia, accomunato per rilevanza militare a quelli di Azio e di Trafalgar, e si svolse in Grecia, lungo la costa ionica, in un tratto di mare antistante l’imboccatura del golfo di Patrasso che dista circa 40 miglia nautiche (74 km) dalla moderna Naupatto, anticamente detta Lepanto dai veneziani. Per la verità il luogo esatto non si trova nei pressi della città, ma nelle acque dell’arcipelago delle Curzolari (o Echinadi), tant’è che in origine prese il nome di «battaglia delle Curzolari».

Lo scontro prese le mosse all’alba del 7 ottobre 1571 e fu epico per il numero di navi impegnate e per le perdite, in particolare quelle subite dagli sconfitti, ma soprattutto per la portata storica del suo epilogo: l’intera Cristianità esultò di gioia alla notizia di una vittoria che, pur non portando vantaggi in termini di conquiste territoriali, salvò probabilmente intere nazioni europee dalla dominazione musulmana. La flotta dell’Impero Ottomano venne affrontata da quella cristiana della Lega Santa, voluta da Papa Pio V per frenare l’espansionismo islamico dopo la caduta di Nicosia (Cipro) e, nel momento contingente, per correre in aiuto di Famagosta, colonia veneziana sull’isola di Cipro da tempo nella morsa di un pressante assedio turco.

LA LEGA SANTA

I preparativi della flotta cristiana furono lunghi e laboriosi; navi e uomini iniziarono a concentrarsi nei porti di Barcellona, Genova, Napoli, Civitavecchia, Livorno e Messina formando le varie squadre navali che sarebbero poi convenute tutte assieme nel porto siciliano, dove era previsto il raduno finale prima della partenza. In estate affluirono i veneziani al comando di Sebastiano Venier, con 58 galee e 6 galeazze guidate da Francesco Duodo, i genovesi di Giovanni Andrea Doria con 11 galee, una ulteriore squadra navale veneziana di 60 unità proveniente da Creta e, ultime in ordine di tempo, le 30 navi spagnole di Álvaro di Bazán, marchese di Santa Cruz. Le galeazze furono uno degli elementi determinanti della vittoria cristiana: erano vere e proprie fortezze galleggianti che imbarcavano fino a 30 cannoni ciascuna, e in qualche caso anche di più.

la “Bragadina” di Antonio Bragadin

la omonima, di Ambrogio Bragadin

la “Guora” di Jacopo Guoro

la “Duouda” di Francesco Duodo

la “Pesara” di Andrea da Pesaro

la “Pisana” di Piero Pisani

Disponevano in totale di ben 159 bocche da fuoco, con una media di 25 a testa contro i 4 (sempre di media) delle altre imbarcazioni. Il comando supremo fu affidato a don Giovanni d’Austria, mentre Marcantonio Colonna (uomo di fiducia del Papa) e Sebastiano Venier, rispettivamente comandanti della flotta pontificia e veneziana, vennero nominati suoi luogotenenti.

La flotta della Lega Santa era ormai completa e il 16 settembre salpò verso oriente. Dalla bocca del porto di Messina uscirono:

207 galee

6 galeazze

28 vascelli di vario genere

32 imbarcazioni di stazza minore

Avevano a bordo 30.000 soldati e quasi 50.000 tra marinai e rematori.

Una volta guadagnato il mare aperto si disposero in formazione, dividendosi in quattro squadroni: tre di prima linea e uno di copertura, in posizione arretrata.

AVANGUARDIA E RETROGUARDIA

L’avanguardia contava 57 galee al comando di Doria, il centro ne annoverava 64 sotto don Giovanni e la retroguardia 56 alle direttive di Agostino Barbarigo, vice comandante della flotta veneziana; dietro, in posizione distaccata, la riserva di Santa Cruz con 27 navi e 3.000 fanti germanici imbarcati. Ciascuno degli squadroni della prima linea era anticipato di circa un miglio da una coppia di galeazze che, in combattimento, avevano il compito di devastare lo schieramento nemico con la loro potenza di fuoco, in maniera da indebolirlo notevolmente prima che esso giungesse in contatto con le altre navi della flotta cristiana. Inoltre erano state create due piccole formazioni, composte ciascuna dalle 8 migliori galee scelte tra quelle di Barbarigo e Doria, che avevano compiti di esplorazione e navigavano una decina di miglia avanti a tutti. Ai primi di ottobre, dopo aver superato non poche traversie dovute soprattutto a dissidi interni, la flotta cristiana doppiò Capo Bianco e il pomeriggio del 4 ottobre raggiunse il porto di Cefalonia (Grecia) e trovò ad attenderla la tragica notizia della caduta di Famagosta, ma soprattutto dell’orribile morte che i musulmani avevano inflitto al povero Marcantonio Bragadin, comandante veneziano della fortezza.

LA CADUTA DI FAMAGOSTA

Ma cos’era accaduto di così terribile nella fortezza cipriota appena espugnata? Dopo mesi di assedio, nonostante le fortissime perdite inflitte agli assalitori, con oltre 40.000 nemici uccisi (alcune stime parlano addirittura di 80.000), gli eroici difensori veneziani avevano ormai realizzato di non essere più in grado di sostenere l’assedio senza rinforzi, e si erano arresi il 1 agosto chiedendo come contropartita ai turchi l’assicurazione di aver salva la vita e di poter quindi lasciare Cipro. Gli assedianti avevano dato ampie garanzie in tal senso ma poi, una volta preso il controllo della situazione, non mantennero la parola data: Lala Kara Mustafa Pascià, il comandante delle truppe turche che aveva perso il figlio nell’assedio, fece catturare e imprigionare i veneziani, condannandoli ai remi delle sue galee. Il 5 agosto Lala Mustafà invitò i comandanti e i notabili cristiani al suo cospetto e con un pretesto scatenò la sua ferocia ordinando di fare letteralmente a pezzi i prigionieri.

Il 15 agosto Bragadin, dopo lunghe torture, venne letteralmente scuoiato vivo dinnanzi a una folla di musulmani festanti e la sua pelle fu conciata come quella di un animale, imbottita di paglia, rivestita ed esposta quale macabro pupazzo sulla galea di Mustafà; gli furono quindi accostate le teste di Astorre Baglioni, Nestore Martinengo e Gianantonio Querini, decapitati il 5. I truculenti trofei vennero quindi inviati a Costantinopoli per essere mostrati al sultano.

La notizia, come è immaginabile, infiammò gli animi dei combattenti cristiani e cancellò definitivamente le rivalità interne che avevano dominato la prima parte della navigazione, spesso sfociando in veri e propri scontri armati con morti e feriti. La sete di vendetta accomunò veneziani e spagnoli, ma il cattivo tempo impediva la ripresa della navigazione e costrinse le navi all’ancora fino al giorno 6. In campo turco vi erano dubbi sul da farsi, se muovere o meno battaglia, e questo nasceva da numerose considerazioni che riguardavano sia la valutazione della reale consistenza della flotta cristiana e del suo stato di efficienza, sia le problematiche della propria, penalizzata anche dalla lunga permanenza in mare. Molti marinai e combattenti esperti erano in licenza nelle loro città di origine e a bordo restavano solo pochi veterani affiancati da numerose giovani reclute inesperte; i soldati cristiani usavano corazze e archibugi, mentre gli ottomani erano privi di protezione personale e tiravano d’arco; a bordo delle loro galee remavano molti schiavi cristiani e il rischio di un ammutinamento durante la battaglia era alto. Nonostante tutte queste considerazioni, nel consiglio di guerra del 6 ottobre il grandammiraglio Müezzinzâde Alì decise per lo scontro e tutti, per paura o convenienza, si adeguarono dando ordine alle navi di uscire in mare.

LA BATTAGLIA

 Il 7 ottobre del 1571, in anticipo sull’aurora, don Giovanni ordinò alla flotta di schierarsi deciso a dar battaglia.

SCHIERAMENTO ISLAMICO

 Gli ottomani potevano contare su 302 unità, di cui:

220 galee

39 galeotte

43 lanterne

Esse imbarcavano in totale circa 640 bocche da fuoco di vario tipo; lo schieramento aveva forma di mezzaluna e sembra che fosse il loro preferito.

Maometto Scirocco (Mehmet Shoraq, al secolo ?ulu? Mehmed Pascià) comandava l’ala destra composta da 54 galee, 2 galeotte e 7 lanterne

Müezzinzâde Alì era al centro con 91 galee e 5 galeazze e 22 lanterne

Uccialì (Ulu? Alì Pascià, detto Occhialì, in realtà Luca (o forse Giovani) Galeni, un rinnegato calabrese convertito all’Islam) era responsabile dell’ala sinistra con 67 galee, 27 galeotte e 9 lanterne.

Dietro di loro la riserva di 8 galee, 5 galeotte e 5 lanterne guidata da Murad Dragut; figlio dell’omonimo viceré di Algeri e signore di Tripoli, uno tra i più famigerati pirati.

Müezzinzâde Alì era a bordo della sua ammiraglia, la “Sultana”, che sfoggiava un vessillo verde su cui era stato ricamato a caratteri d’oro per ben 28.900 volte il nome di Allah.

SCHIERAMENTO CRISTIANO

Gli si opponeva la flotta cristiana formata da 204 galee, 6 galeazze e 30 lanterne, con oltre un migliaio di bocche da fuoco imbarcate, schierata in un allineamento compatto diviso in tre settori, ciascuno dei quali preceduto un miglio avanti da una coppia di galeazze, e spalleggiato dalla riserva in posizione centrale.

L’ala sinistra al comando di Barbarigo aveva 3 lanterne e 57 galee, di cui 53 in prima linea e 4 in seconda come riserva.

L’ala destra rispondeva agli ordini di Colonna ed era composta da 53 galee e 7 lanterne.

Il centro, sotto la guida di don Giovanni, contava 64 galee e 18 lanterne tra le quali la sua ammiraglia e le altre «capitane», oltre a varie «padrone».

Delle galeazze il nemico si era ben accorto, ma non riusciva a comprendere il senso della loro presenza sul campo; ai turchi le spie avevano riferito di quelle grosse navi, ma sostenendo che esse imbarcassero solo pochi pezzi d’artiglieria ciascuna, per cui furono ignorate.

Nella retroguardia cristiana era infine schierata la riserva di Santa Cruz, che poteva rendere disponibili 30 galee, 2 lanterne e unità minori che imbarcavano archibugieri e piccoli pezzi d’artiglieria. I rapporti di forza erano favorevoli agli ottomani per numero di navi, ma volgevano a loro svantaggio per quantità di bocche da fuoco, che i cristiani avevano in numero quasi doppio; per quanto riguarda gli equipaggi e i combattenti imbarcati, si pensa che la loro consistenza fosse quasi alla pari.

Alle undici del mattino le flotte potevano ormai dirsi posizionate, anche se quella della Lega era ancora ostacolata dal vento contrario; non appena Müezzinzâde Alì ebbe conferma che il suo schieramento era in posizione, diede ordine di avanzare a favore di vento, sfruttando al minimo i rematori e usandoli solo per tenere la corretta direzione, accompagnando la lenta avanzata con un terribile fragore di tamburi e corni per demoralizzare l’avversario; ma in breve volgere il vento cambiò direzione e questo li costrinse ad ammainare le vele e dar mano ai remi. I cristiani lessero invece l’evento come un segno tangibile della benevola presenza di Dio e il loro morale riprese vigore. A mezzogiorno la flotta musulmana avanzava a velocità costante ed era a un miglio e mezzo dagli avversari, che restavano apparentemente inerti ma animati da un fremito di impazienza per l’imminente scontro, soprattutto gli artiglieri a bordo delle 6 galeazze.

GALEAZZE, L’ARMA SEGRETA DEI VENEZIANI

Non appena il nemico fu a tiro, il comandante Francesco Duodo diede ordine di sparare e una valanga di fuoco si abbatté sulle galee turche, con effetto devastate e del tutto inatteso. Alla prima bordata almeno 4 furono distrutte e molte altre danneggiate, provocando un gran numero di vittime. La confusione nel fronte turco fu subito enorme: alcune navi invertivano la remata per fuggire all’indietro, altre sbandavano ormai prive di guida e diventavano ostacolo per le vicine causando collisioni, altre ancora tentavano una scomposta reazione sparando alla cieca. La formazione lanciata con foga all’attacco si era ormai sgretolata. Le galeazze, nel frattempo, avevano effettuato una rotazione e avevano scaricato una seconda bordata dal lato sinistro, e poi ancora, ruotando ogni volta di un quarto di giro, usando le batterie di prua e di destra, man mano che la nave ruotava su se stessa e un gruppo di cannoni sparava, gli artiglieri ricaricavano gli altri. La potenza di fuoco generata dalle sei unità, la cui presenza era stata praticamente ignorata dai turchi, si rivelò micidiale e ne decimò la flotta ancor prima dello scontro vero e proprio.

Per arrivare a contatto con la prima linea cristiana le navi musulmane dovettero superare le galeazze e quelle che passarono loro più vicine vennero polverizzate dalle raffiche di cannone, spesso caricato anche a “mitraglia” oltre che a palla singola; oltrepassato questo muro di fuoco li attendeva il tiro dei cannoni “di corsia” (di prua) delle galee. Il vento peggiorava la situazione dei turchi, perchè era divenuto contrario e li investiva del fitto e soffocante fumo delle bocche da fuoco avversarie, impedendo agli arcieri di prendere la mira. A quel punto un terzo delle unità attaccanti era ormai distrutto o irrimediabilmente danneggiato. La flotta della Lega iniziò quindi a muovere lentamente in avanti.

Nel frattempo Maometto Scirocco aveva manovrato verso terra, sotto al promontorio di Malcatone, per tentare l’aggiramento della squadra di Barbarigo che vi era in posizione; questi se ne accorse per tempo e ne nacque uno scontro feroce che, tra alterne vicende, si risolse a favore dei cristiani, anche se il comandante veneziano fu ferito a morte. In un altro settore, un gruppo di galee alla cui testa si trovava la toscana “Elbigina” sfondò la prima linea turca, che dove si era aperto un varco, intercettando una trentina di unità nemica in fuga e sbaragliandole, con la cattura di alcune di esse tra cui la «capitana» di Rodi.

Sul lato sinistro (il destro per i turchi), quello verso costa, la situazione volgeva ormai a netto favore della flotta cristiana e le loro galee avevano spinto quel che restava dell’ala destra ottomana verso riva, tant’è che alcune delle loro navi finirono addirittura in secca. L’ammiraglia di Scirocco venne centrata da una palla di cannone e lui, gravemente ferito, fu ripescato in acqua dai veneziani, che non ebbero alcuna pietà per tutti gli altri naufraghi. Al centro la situazione era divenuta altrettanto grave per gli ottomani che, subito dopo mezzogiorno, presi da una sorta di frenesia irrazionale, avevano tentato di colpire il cuore dello schieramento cristiano, ma erano stati spazzati dalle bordate delle galeazze li avevano travolti a più riprese con le micidiali scariche a mitraglia; per giunta, non avendo rimosso i rostri non potevano abbassare i cannoni di prua abbastanza da sparare frontalmente. Nonostante tutto la “Sultana”, ammiraglia di Müezzinzâde Alì, scortata da varie unità minori puntò dritta sulla “Real”, la nave di don Giovanni, speronandola a prua. Si accese una mischia furibonda che coinvolse varie navi delle due parti accorse; abbordaggi e speronamenti si susseguirono a lungo, ma infine il soccorso della riserva di Santa Cruz fu provvidenziale.

LA VITTORIA CRISTIANA

 I rinforzi ottomani erano invece ormai esauriti e piano piano le navi cristiane iniziavano ad avere il sopravvento nei vari scontri; molte di esse, liberatesi dei nemici con i quali erano ingaggiati, confluirono contro la “Sultana”, che era rimasta isolata. Venne arrembata per l’ultima volta e in breve la testa di Müezzinzâde Alì fu infilzata su una lancia e alzata perché tutti la potessero vedere; il vessillo ottomano venne strappato e al suo posto fu alzato quello cristiano, e tutta la flotta della Lega lo vide ed esultò. Restava ancora Uccialì, che con le sue navi avanzava verso l’ala destra avversaria. Per sfuggire al fuoco delle galeazze virò a sud e venne inseguito dalla squadra di Doria che, per farlo, lasciò indietro alcune galee veneziane più lente; esse divennero facile bersaglio per l’algerino che le catturò prima che Doria potesse intervenire e ne prese otto al rimorchio come preda. Poi commise l’errore di lanciarsi all’attacco del centro cristiano, ma era ormai troppo tardi per ribaltare le sorti dello scontro e con quella mossa finì per trovarsi in trappola, chiuso tra la vittoriosa squadra della Lega e quella di Doria che lo inseguiva. Scaltramente, da rinnegato qual’era, decise di fuggire