2013 Comunicati  18 / 09 / 2013

La schiavitù in Qatar? Yes, we cam

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 75/13 del 18 settembre 2013, San Giuseppe da Copertino

Qatar, un calcio ai diritti

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La Confederation Cup, il torneo calcistico per squadre nazionali che in Brasile ha radunato a giugno le migliori formazioni del mondo, ha tenuto banco sui giornali e in tivù non solo per le imprese sportive dei campioni che si sono sfidati sul campo, ma anche (forse soprattutto) per le imponenti manifestazioni di protesta che hanno infiammato le piazze delle città di quell’immenso Paese. Per giorni e giorni, sfruttando l’impatto mediatico del calcio, i brasiliani sono scesi in piazza per chiedere al governo di Brasilia maggiore attenzione ai temi sociali: scuola, sanità e lavoro. Una partita, quella delle piazze, che ha indebolito non poco la presidente Dilma Rousseff, per la quale sembrano complicarsi, nelle elezioni che si svolgeranno tra poco più di un anno, le prospettive di una riconferma.
Ma al mondo del calcio, come cassa di risonanza per rivendicare i propri diritti, non possono guardare con uguale affidamento i tanti lavoratori stranieri (oltre un milione) che stanno in questi mesi raggiungendo il Qatar. Saranno impiegati nei cantieri che stanno per essere avviati in vista della Confederation Cup del 2021 e dei Mondiali di Calcio del 2022, manifestazione che per la prima volta approda in un Paese del Golfo arabico.
Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, nei cantieri qatarioti sono all’ordine del giorno incidenti mortali, a causa di quasi inesistenti norme di sicurezza. Ma si contano anche casi di vero e proprio lavoro coatto e sfruttamento, con salari da fame. Una situazione che ha indotto la Confederazione internazionale dei sindacati, che ha sede a Bruxelles, a indirizzare una dura lettera al presidente della Federazione calcistica internazionale (Fifa) Seep Blatter. I dirigenti dell’organismo sindacale mondiale denunciano la situazione lavorativa del Paese, dove una nuova legge sul lavoro di fatto tollera sfruttamento e lavoro forzato: «Per la legge del Qatar, chi assume ha il controllo totale sul lavoratore. Egli decide se l’operaio può cambiare lavoro, tornare nel suo Paese oppure restare».
Con una crescita economica imponente, pari al 19 per cento l’anno, il Qatar (grazie soprattutto al petrolio) è fra i Paesi più ricchi al mondo. Negli ultimi anni filippini, nepalesi, indonesiani, vietnamiti, africani hanno raggiunto questo emirato per contribuire al suo miracolo economico, costruendo palazzi, centri commerciali, porti, oleodotti, infrastrutture. Oggi il Paese conta una popolazione di quasi 2 milioni di abitanti, di cui solo 300 mila qatarioti. Una ricchissima minoranza che guarda al calcio come a una ghiotta occasione per attirare investimenti (sarebbero già stati raccolti 2,87 miliardi di dollari). E per far confluire negli stadi (e negli alberghi di lusso) il fior fiore del jet set internazionale e della finanza mondiale.
L’emiro del Qatar (che da un lato parteggia per gli insorti siriani, dall’altro finanzia la repressione in Egitto) non sembra per ora curarsene. Dalla Fifa sembra non sia giunta risposta. E non stupisce. Del resto, per i dirigenti dal calcio, ciò che capita fuori dal recinto di gioco appartiene solitamente ad un altro mondo. Ma ai tanti migranti che hanno lasciato la loro terra per cercare un lavoro dignitoso e che contribuiranno a realizzare la prima Coppa del mondo nel Golfo Persico, non si può certo rispondere con un calcio.
Terra Santa

Mondiali 2022, calcio e schiavitù si incontrano in Qatar
Doha (AsiaNews/Agenzie) – Mentre la Fifa valuta se assegnare i mondiali del 2022 al Qatar, l’International Trade Union Confederation (Ituc), organizzazione impegnata a tutelare i diritti dei lavoratori in 153 Paesi al mondo, si appresta a lanciare una campagna di boicottaggio ai danni della stessa competizione. “Sarebbe motivo di grande delusione e sconforto per noi la partecipazione a una coppa del mondo organizzata grazie allo sfruttamento di un sistema schiavista”, ha dichiarato il direttore del gruppo, Aidan McQuade.
In Qatar, il sistema della kafala – o sponsorizzazione – intrappola ad oggi oltre un milione di lavoratori stranieri, vincolandoli al proprio datore di lavoro e privandoli di ogni diritto fondamentale. Sono nepalesi, filippini e indonesiani, e lavorano o nelle grandi imprese edili o come dipendenti domestici dei ricchi qatarioti. Una volta assunti, sono privati del proprio passaporto e di ogni diritto fondamentale: senza il permesso del proprio ‘sponsor’ non possono licenziarsi, lasciare il Paese o sporgere denuncia in caso di abusi; pena l’arresto o la deportazione. (…)
Al contempo, un mondiale in Qatar implicherebbe una mole di appalti fino a 75 miliardi di dollari, sulla quale le grandi compagnie statunitensi, britanniche, francesi e brasiliane sarebbero pronte a mettere le mani nel caso in cui la Fifa decidesse di accontentare gli emiri. Nei cantieri di hotel, stadi, ferrovie, linee metropolitane e di una nuova città da 200mila abitanti lavorerebbero quei migranti giunti dal sudest asiatico che in Qatar costituiscono il 94% della forza lavoro. È per questo motivo che, come spiega Sharan Burrow, Segretario Generale dell’Ituc, “l’organizzazione è intenta a fare pressione su tali gruppi d’investimento affinché assieme allo sviluppo dei progetti previsti incoraggino anche un miglioramento delle condizioni lavorative dei migranti”. (…)
Asia News