Il primo salesiano ‘martire’ del lavoro missionario
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 39/25 del 21 maggio 2025, San Valente
Il primo salesiano ‘martire’ del lavoro missionario
Nel 150° anniversario delle prime missioni salesiani in Argentina, ricordiamo la figura di don Giovanni Battista Baccino (1843 – 1877), che si consumò nell’assistenza catechistica e sacramentale nei confronti dei tanti italiani emigrati dopo l’unità d’Italia e privi del soccorso religioso.
Il primo missionario salesiano “martire del lavoro”
La congregazione salesiana “ha fatto fortuna” nelle terre di missione grazie a uomini dallo spessore spirituale di don Baccino, il primo di migliaia di altri che come lui non si sono risparmiati per “cercare anime” lontano da casa. La loro storia per lo più è nota solo a Dio.
Celebrando il 150° di quella prima spedizione il Bollettino Salesiano non può dimenticare la figura del primo missionario deceduto per aver preso alla lettera il primo ricordo di don Bosco ai missionari: “cercate anime, ma non denari, né onori né dignità”.
In effetti don Baccino, nato nel savonese nel 1843, vocazione adulta, salesiano dal 1869 e sacerdote dal 1874, appena giunto a Buenos Aires, fu assegnato alla Iglesia de los Italianos ed in pochi mesi si consumò nell’attività pastorale fatta di predicazione, catechismi, confessioni, scuole diurne e serali, accoglienza di giovani, visite alle famiglie. Don Cagliero aveva scritto che lavorava per quattro, che non capiva come potesse fare tanto, che faceva in tutto e per tutto da vero pastor bonus verso gli Italiani di Buenos Aires.
“Se presto non manda aiuto qui, dovremo per certo soccombere”
Tre mesi dopo, don Baccino confermava il suo gran lavoro: “A tutte ore devo insegnare il catechismo a giovani più grandi, i quali vogliono essere ammessi alla comunione o per maritarsi o per altro. Vengono donne fin di 25 e più anni, perché io le possa istruire privatamente… giovani poi sono senza numero, passano già i 20 anni e non sanno ancora quasi di essere cristiani. Costoro sono in gran parte Italiani e vengono dal campo lontano fin 10 e più leghe [50 km], vengono per sentire predicare e intanto i giovani si fermano in Buenos Aires per farsi istruire… Per costoro, dico, non ho ora fissa, ma insegno quando vengono”.
A don Bosco che gli scriveva di concedersi un po’ di riposo per salvaguardare la salute, il 3 aprile 1876 lo tranquillizzava ma rinnovava il precedente appello: “Grazie a Dio, dopo che mi son partito da costì, ho goduto sanità perfettissima. Questo ci voleva, perché tengo che occupar[bello lo spagnolismo] il tempo. Padre, se presto non mi manda aiuto, dovremo sicuramente soccombere, perché è impossibile il far tanto, mentre siamo pochi… sono quattro mesi che sono qui e non conosco ancora Buenos Aires”.
Certo, come unico responsabile a tempo pieno della chiesa passava ore e ore al confessionale, quando non era impegnato a fare catechismo, a preparare le omelie in spagnolo che conosceva poco, ad andare ad assistere agli ammalati…
A metà maggio 1876 addolorato si confidava con il suo maestro di noviziato don Barberis: “Devo cercare un’ora per mangiare, perché se potessi farne a meno non perderei tal tempo. Il resto del tempo non so come lo passi, solo so che mi alzo di buon mattino e alla sera vado a dormire alle dieci o dopo ancora…La mia salute è di ferro… Se sapesse! Alle domeniche confesso fino ad ora pomeridiana, più ancora la comunione… vengono dal capo lontano 20, 30 e 60 miglia e non andrebbero via neppure alla sera se prima non si accostassero ai sacramenti… Alle tre monto in pulpito… quel che dica non so, so solo che la chiesa è piena con quanti ne può capire, nemmeno uno che fiati; quei che arrivano dopo devono contentarsi di starsene fuori ascoltando quanto possono… Finché posso, vado avanti, e poi faranno altri…”
Ma come faceva don Baccino a dire di no a coloni italiani che magari avevano fatto sei ore di viaggio a cavallo e quattro ore in ferrovia?».
Don Scavini soggiungeva che molti giovani adulti venivano tutte le sere al Rosario, per potersi poi dopo intrattenere con lui che aveva parole per tutti, che li sapeva prendere per il proprio verso e attirarli ai Sacramenti. E aggiungeva che quando usciva di casa tutti i ragazzi del vicinato correvano a lui d’attorno: chi saltava, chi correva, chi gridava, chi batteva le mani. Ed egli trovava una parola ed una carezza per tutti, fossero ben cento.
Non sembra di vedere il primo don Bosco attorniato dai ragazzi in giro per Torino o l’altro don Bosco quando scendeva in cortile a Valdocco?
L’ultima lettera
Il 20 aprile 1877 lo stesso don Baccino scriveva a don Bosco quella che sarebbe stata l’ultima sua lettera, una commovente testimonianza di dedizione alla missione e di affetto al fondatore: “La nostra Chiesa continua ad essere frequentatissima. Si può dire che tutti gli Italiani… vengono qui come un torrente… È ciò che cerchiamo, che ci diano lavoro. Quando siamo giunti, l’abbiamo detto loro ch’eravamo venuti per lavorare e far loro del bene; ci han compresi, e del lavoro ce ne danno. Deo gratias… Io sono contento di essere venuto in America, vivo tranquillo, lavoro facendo ciò che posso, ma sono ignorante. Qui andrebbero uomini esperti più di me. Una sola cosa mi resta a desiderare su questa terra, ed è che vorrei ancora una volta vedere il mio amato padre don Bosco. Potrò sperarlo in questo mondo? Almeno, almeno preghi che ci riuniamo nell’altro. Mi faccia pervenire un qualche suo biglietto, di quelli proprio di padre!… Questa sia anche di augurio nel suo onomastico, se non posso più scriverle. E sappia che quantunque lontano, non vi è alcuno che mi superi in affezione per lei /L’umile suo figlio Sac. Baccino G.B”.
La congregazione salesiana, la famiglia salesiana, se “ha fatto fortuna” nelle terre di missione è grazie a uomini dallo spessore spirituale di don Baccino, il primo di migliaia di altri che come lui non si sono risparmiati per “cercare anime” lontano da casa. La loro storia per lo più è nota solo a Dio. [Don Baccino morì nel 1877 a 34 anni].
Fonte: https://bollettinosalesiano.it/rubriche/il-primo-missionario-salesiano-martire-del-lavoro/