2019 Comunicati  09 / 09 / 2019

La Storia Sociale della Chiesa di Mons. Benigni

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenzaStoriaSociale6tomi
Comunicato n. 61/19 del 9 settembre 2019, San Gorgonio
 
La Storia Sociale della Chiesa di Mons. Benigni
La Storia Sociale della Chiesa, opera monumentale di monsignor Umberto Benigni, è stata ristampata dal “Centro Librario Sodalitium” (sei volumi su sette, entro la fine dell’anno è prevista la stampa dell’ultimo volume).
 
Prefazione al quarto volume (in due tomi)
Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi. La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, consegnata ad innumerevoli monumenti storici, che nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine. E certamente tutti quei benefìci sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: “Quando regno e sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina”
Con queste celebri parole Papa Leone XIII – il vescovo di Umberto Benigni a Perugia, il Pontefice che lo chiamò a Roma – descriveva la Cristianità nell’enciclica del 1 novembre 1885, Immortale Dei. Il programma di San Pio X – il Papa di cui Mons. Benigni fu fedele collaboratore – era di restaurare questa civiltà cristiana della quale parlava il suo predecessore: “No, Venerabili Fratelli – bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si atteggia a dottore e legislatore -, non si costruirà la città diversamente da come Dio l’ha costruita; non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la civiltà cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà: “omnia instaurare in Christo” (Enciclica Notre charge apostolique, 25 agosto 1910).
La civiltà cristiana, la civiltà cattolica è già esistita: deve essere solamente continuamente restaurata. In questo volume, Mons. Benigni ne descrive l’apogeo, dal IX al XIV secolo. Certo, lo spirito disincantato e realista del nostro Autore non idealizza neppure il periodo medioevale, ovverosia l’apogeo della Cristianità: ne descrive anzi le insidie dei malvagi e le debolezze dei buoni, le continua lotte della Chiesa coi suoi nemici, non ignora il lavoro sotterraneo delle eresie e di Israele, del bizantinismo che diventa, in Occidente, Ghibellinismo, e degli altri fattori che porteranno alla crisi del modello medioevale.
I due tomi che compongono il presente volume, il quarto di un’opera che ne prevedeva nove, sono stati scritti a ben sette anni di distanza: il primo tomo, infatti, è del 1922 (quando fu pubblicato quindi il volume precedente, il terzo della serie), mentre il secondo tomo è del 1929. Il 1922 quindi (di cui abbiamo parlato nell’introduzione al volume III) fu un anno particolarmente fecondo per la Storia sociale della Chiesa. Un prezioso articolo non firmato (ma dell’abbé Boulin, il braccio destro, in Francia, del Sodalitium pianum) ci svela i progetti del Monsignore umbro in quel periodo, riguardo all’opera che ristampiamo: “Poiché la guerra ed il Pontificato di Benedetto XV avevano impresso agli avvenimenti un corso ben diverso, Mons. Benigni ne approfittò per rinchiudersi in un semi-ritiro studioso. In esso si sforza di portare a compimento il monumento promesso a tutti coloro che hanno potuto apprezzare il suo magistero: questa Storia sociale della Chiesa che fin dal principio si manifesta come un geniale saggio di storia politica del cattolicesimo. L’autore sembra avervi condensato tutto i tesori di una lunga esperienza negli affari contemporanei, di una immensa capacità di lettura, di uno studio delle fonti rinnovato dall’originalità dei punti di vista e dalla profondità dello studio. Le intelligenze più competenti non esitano a salutare, in questo storico così tradizionale nello spirito e così ardito nei metodi, una sorta di Macaulay ecclesiastico, scrittore dalla verve acuta, analista penetrante di figure e gruppi sociali, che eccelle nell’evocarli sulla scena del mondo” (Les Juifs et le Catholicisme d’après l’Histoire sociale de l’Eglise de Mgr Umberto Benigni, in Revue Internationale des Sociétés Secrètes, 1922, anno II, fascicolo VI, p. 735, con una biografia dell’autore e gli estratti dell’opera concernenti Israele). Purtroppo, gli entusiasmi del 1922 non ebbero seguito, e la Storia sociale, come detto, completò il IV volume solo nel 1929. Purtroppo… o per fortuna! Per fortuna, in quanto Mons. Benigni uscì presto dal “semi-ritiro studioso” (se mai esistette nella vita del vulcanico prelato) per riorganizzare il disciolto Sodalitium pianum sotto nuove sembianze: non più un ente ecclesiastico, bisognoso dell’approvazione della Chiesa (era ormai divenuto impossibile sperarla) ma una Intesa romana per la Difesa Sociale (IRDS), fondata nel 1923 che, non essendo un gruppo costituito ma un semplice mezzo d’informazione, aveva lo scopo di collegare e, appunto, informare, tutti coloro che in qualche modo potevano opporsi alla Rivoluzione, anche se non necessariamente cattolici. Fu così che il 1924 vide la creazione del bollettino Veritas, dell’agenzia Urbs (che dal 1928 divenne casa editrice) e del mensile Romana. La Difesa Sociale collaborava con il mondo intero: Mons. Benigni riceve informazioni e a volte visita chi lotta per la “difesa sociale” in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia, in Svizzera, in Germania, nel Québec e in Romania, in Spagna e in Egitto… e si preoccupa di informare lo stesso Governo italiano (il ministero degli Esteri, dal 1923 al 1928, e quello degli Interni a partire dal 1927). Soprattutto dal 1926 al 1929 infuria la polemica, che potremmo dire mortale, e non senza colpi bassi, tra i gesuiti della Civiltà Cattolica (Padre Rosa) e Mons. Benigni, sullo sfondo dell’affare dell’Action Française e del Fascismo, polemica che non sfuggì all’occhio acuto di Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. Il 1929 segnerà una svolta per tutti: il Concordato tra l’Italia e la Santa Sede avrà le sue conseguenze nel mondo cattolico integrale, con la rottura tra i francesi (contrari all’accordo) e gli italiani, e la chiusura, dopo dieci anni di pubblicazioni, della rivista Fede e Ragione di don Paolo de Toth. Il 30 marzo 1930, Mons. Benigni, nec spe nec metu (secondo il suo motto assunto quando divenne protonotario apostolico) scrisse: Oggi finisco 68 anni. Che Via Crucis!
Gli resteranno meno di quattro anni da vivere (e un ultimo volume della Storia sociale da pubblicare).
Don Francesco Ricossa