2020 Comunicati  14 / 04 / 2020

Crimini comunisti: il martirio del seminarista Rolando Rivi

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenzarivi
Comunicato n. 36/20 del 14 aprile 2020, San Giustino
 
Crimini comunisti: il martirio del seminarista Rolando Rivi
 
Pubblichiamo un ricordo del seminarista Rolando Rivi, ucciso il 13 aprile 1945 all’età di 14 anni da una banda di partigiani comunisti. Nel “triangolo della morte” dell’Emilia e nelle foibe carsiche circa 130 consacrati – tra sacerdoti, religiosi e seminaristi – furono eliminati brutalmente dall’odio comunista. Il dopoguerra riservò l’oblio per le vittime e le medaglie per i carnefici. Oggi assistiamo a una nuova ondata di anticlericalismo, in buona parte alimentata da nuove formazioni politiche impregnate di disprezzo per la religione cattolica. 
 
IL
 SANGUE PER GESU’. La vita di Rolando Rivi 

(7
 gennaio 1931 – 13 aprile 1945) 

seminarista quattordicenne ucciso dai partigiani comunisti 
 
Fuori
 dal seminario

Al termine
 della seconda ginnasio, nel giugno del 1944, il seminario di Marola, occupato dai
 tedeschi, fu chiuso e i seminaristi mandati a casa. Rolando dovette tornare in famiglia,
 portando con sé i libri e proponendosi di studiare latino, italiano, matematica 
e le altre materie, per non perdere tempo. 

A casa continuò a sentirsi seminarista. Buttato nel mondo, come un fuscello
 nella bufera, la sua gioia erano la messa quotidiana con la comunione, la meditazione,
 la visita pomeridiana a Gesù Eucaristico, il rosario alla Madonna. Il luogo
 prediletto era sempre la casa parrocchiale. Quando poteva posare le mani sulla tastiera
 dell’harmonium, quasi si estasiava a suonare. Certamente soffriva, ma si dimostrava 
sereno, anche allegro. Non abbandonava mai un istante la veste da prete. 

Mai si era chiuso in se stesso negli anni di seminario; ma sempre vivace si rivelava 
mite e socievole, così che si stava bene con lui. Ed era talmente simpatico 
che tutti si fermavano a parlargli. Riprese i contatti con i bambini, con i coetanei. 
In casa, alla sera, guidava lui la preghiera, il rosario, accanto alla nonna. 

Ai bambini, anche solo di cinque sei anni, insegnava a servire la messa e giocava 
con i più piccoli, per diffondere serenità in quei giorni così
 tristi. Li invitava in chiesa a pregare davanti al tabernacolo e insegnava loro a
 cantare le lodi del Signore. Con qualcuno più grande, si propose di imparare 
l’esecuzione in canto di una nuova messa. 

Don Olinto lo guardava compiaciuto. In quei mesi, lontano dal seminario, nello scontro 
di diverse fazioni, poteva essere facile per un ragazzo perdere, quasi senza accorgersene, 
lo stile fervoroso del seminarista. Rolando, invece, continuo a manifestarsi a tutti
 sempre più convinto della sua vocazione, buono e sereno anche nelle difficoltà.


 «Non diede mai l’impressione – ricordano familiari e amici – di voler lasciare
la strada intrapresa». E chi lo avvicinò in quei giorni dichiarava:
 «Questo ragazzo riuscirà a diventare prete e sarà un prete esemplare». 
Alcuni compagni di seminario dicono di lui: «Era il ragazzo migliore. Non aveva 
malizia, era un puro di cuore. Un vero agnello». 

 
Nell’odio: fratello
La vita 
a San Valentino trascorse abbastanza tranquilla per due tre mesi, fino al settembre
 del 1944. Poi iniziarono scorribande di tedeschi e di partigiani. Si
 ebbero ruberie, razzie, fatti spiacevoli e violenze anche contro i sacerdoti. 

«Il sacerdote, servo del Vangelo, era diventato veramente il segno di contraddizione,
 prima, durante e dopo la guerra. Chiunque negava l’amore, se la prendeva con questo 
testimone di Cristo». 

Diventava pertanto sempre più forte l’odio contro i preti, che operavano per
la pacificazione degli animi e denunciavano le violenze, da qualunque parte venissero 
compiute. I preti uccisi, e quelli che si volevano eliminare, erano i veri amici
del popolo, nel momenti più oscuri: davanti al bisogno di pane, di protezione,
di lavoro e di aiuto, essi sapevano offrire tutto, anche privandosi di persona. Ma 
il sistema di percuotere il pastore per disperdere il gregge (Zc 13,7) 
è proprio dei nemici di Dio in qualsiasi paese e di qualsiasi colore, come 
la storia dimostra. 

Rolando sperimentò questo clima, quando gli capitò di essere deriso 
dai partigiani comunisti che scorrazzavano per le colline. Forse era meno bersagliato
 di altri seminaristi, perché abitava in un luogo più isolato; tuttavia 
capì molto bene la situazione… 

Ma questo non gli chiuse mai il cuore verso alcuno. Continuò ad essere il 
ragazzo buono e socievole con tutti. Nella sua semplicità, credeva alla bontà
 degli altri, parendogli impossibile che qualcuno potesse far davvero del male. 

A San Valentino fu preso di mira il parroco don Marzocchini. Una mattina si venne 
a sapere che durante la notte precedente, alcuni l’avevano aggredito e umiliato.
 Così era stato trattato il padre, che aveva avuto come unica preoccupazione
 quella di provvedere ai poveri, di condividere con il suo popolo ogni genere di dolore,
 che durante la guerra partecipava alle sofferenze delle famiglie con tanti
 giovani della comunità sui vari fronti, con in più il rimpianto accorato 
per i parrocchiani caduti. 

Qualche giorno dopo, don Marzocchini riparò in un luogo più sicuro.
 Questo fatto impressionò tutti i buoni e Rolando soffrì per il suo parroco maltrattato, 
ma non disse parole di odio verso quei partigiani.

 Ma non si chiuse verso alcuno, e nessuno era escluso dal suo cuore. Parlava con tutti,
 offrendo la sua parola gentile, il suo sorriso. Per lui non c’erano nemici, ma solo 
fratelli da amare. 

 
«Io
 sono di Gesù»

Dopo 
la partenza del parroco, venne a San Valentino un giovane prete, don Alberto Camellini,
 assai preparato e molto attivo, verso il quale Rolando dimostrò subito grande
 simpatia. 

Tutti vedevano passare per la strada il giovane seminarista, tutti conoscevano il 
suo stile di vita, indicato come il pretino. I genitori gli dicevano:
 «Togliti la veste nera. Non portarla per ora … ». Ma Rolando rispondeva:
 «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho motivo di togliermela».
 Gli fecero notare che forse era conveniente farlo in quei momenti, così insicuri.
 Replicò Rolando: «Io studio da prete e la veste è il segno che
io sono di Gesù». 

Certo, quella veste, richiamo al Dio eterno e a Cristo che salva e giudica, irritava 
quelli che non ne volevano sapere. Irrita anche oggi: costringe a pensare a Qualcuno 
più facile da bestemmiare che da dimenticare. 

Nonostante a rischio, Rolando non volle togliersi mai quell’abito, che per lui significava
 già un impegno per tutta la vita. Affezionatissimo alla talare, riteneva onore
 e gloria indossarla sempre, senza lasciarla mai, come una dichiarazione di amore
 e di appartenenza, come se proclamasse: «Gesù mi chiama ad essere sacerdote. 
lo sono di Gesù e della sua chiesa. lo amo Gesù e ho la passione di
servirlo nel sacerdozio. lo per Lui sono nel mondo, ma non del mondo». 

Rolando, ragazzo mite e puro, inerme e armato solo di amore, gridava più con 
la vita che a parole: «Chi è come Dio?». 

I primi due giorni di novembre, festa dei santi e commemorazione dei defunti, c’era 
grande mestizia in casa Rivi, per il ricordo struggente dei figli perduti: Rino, 
Adolfo, Lina. Alla messa, Rolando ascoltò la parola di Gesù nel vangelo: 
Beati i poveri… i piangenti… i puri di cuore… i pacifici…
 Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia… Grande è la vostra ricompensa
 nei cieli (Mt 5,1-12). Egli sentiva che Gesù, il Povero, il Piangente, 
il Puro di cuore, il Pacificatore, il divino Sofferente associava a sé in
 quei giorni tutti i sofferenti. Anche lui era chiamato a seguirlo sulla stessa via,
 verso la sublime meta indicata: Grande sarà la tua ricompensa nei cieli. 


Con i suoi cari, visitò in preghiera il cimitero. Poi, nel silenzio della
 sera, rientrò a casa. Gli sembrava più vuota, più fredda…
 e allora con i familiari pregò la Madonna con il rosario, per i suoi defunti,
 per le vittime della guerra, per la pace. 

Ora che le giornate erano più brevi e l’aria pungente, Rolando dedicava maggior
 tempo alla lettura e allo studio e faceva compagnia alla mamma, al papà, alla 
nonna; sempre con la segreta speranza di poter presto tornare in seminario. Lontano
 dal suo nido, non aveva mai dimenticato gli insegnamenti del rettore,
 anzi li viveva con fedeltà per Gesù e per i fratelli. 

Con gli amici, parlava delle cose del momento, ma al di sopra di tutto amava indugiare
 sui suoi impegni: «Dobbiamo studiare anche a casa, per non perdere tempo»;
 «Preghiamo ogni giorno, così non dimenticheremo quanto ci hanno insegnato 
i nostri superiori»; «Speriamo di tornare presto in seminario». 


Era attirato dalla vita missionaria: «Quando sarò prete – diceva – partirò, 
andrò in terre lontane a far conoscere Gesù. Voglio che Lui sia conosciuto
e amato». Il progetto che più lo affascinava era quello di diventare
 prete per andare missionario. 

 
Lo
 sguardo al futuro

Nel dicembre
del 1944 cadde in abbondanza la neve e tutto quell’inverno fu particolarmente freddo
 e nevoso. Rolando partecipò alla festa dell’Immacolata, l’8 dicembre, come 
faceva in seminario, affidandosi a Lei, la Tutta Pura. Si avvicinava il natale. Nel
 giorni della novena, accompagnò all’harmonium il canto delle profezie, unendo
la sua voce a quella dei cantori e dei fedeli ad invocare Gesù: «Regem 
venturum Dominum: venite, adoremus!» (Il Signore sta per nascere: venite, adoriamolo!). 
Alla messa di natale, sentì l’anima riempirsi di serenità e di speranza
(5). 

Capodanno 1945: dopo quasi sei anni di guerra, qualche spiraglio di pace. Il 7 gennaio,
 tra l’affetto dei suoi, Rolando compì 14 anni. «La guerra finirà
 presto – pensavano papà e mamma – e il nostro ragazzo potrà tornare in seminario 
e diventare prete». Nonna Anna lo guardava, piena di speranza: «Chissà
 se ti vedrò salire l’altare?». «Oh, sì, nonna! – rispondeva 
Rolando – Canterò la messa a San Valentino… Lo pensi che bello, nonna?».


 Sulle colline coperte di neve gelata tornò a splendere il sole. Rolando, con
 due doghe di botti in disuso preparò un paio di sci e suggerì l’idea 
ad alcuni coetanei, i quali fecero altrettanto. Chiamò a godere lo spettacolo
 – e a parteciparvi se non avessero avuto troppa paura – anche i bambini più
 piccoli. 

Poi, dal Poggiolo, dove abitava, si buttò lungo il pendio a sciare,
 svelto, veloce, nonostante la veste, seguito a distanza dagli amici più coraggiosi.
 «Sembrava un folletto», ricorda qualcuno che era presente a quell’avventura .


Continuava frattanto a frequentare la casa parrocchiale, dove si intratteneva con 
gli amici a studiare, a discorrere dei suoi progetti e ad esercitarsi all’harmonium.


 Arrivava la primavera. Ancora forte l’odio ai preti e ai credenti: il sangue degli 
innocenti sarebbe continuato a scorrere anche dopo la fine della guerra. Il 14 febbraio,
mercoledì delle ceneri, inizio della quaresima e festa di san Valentino, Rolando
 cominciò a prepararsi alla Pasqua, pregando e offrendo a Dio gli impegni e
i piccoli sacrifici quotidiani. Aveva dentro una forte nostalgia del seminario. Lo 
diceva ai familiari e agli amici seminaristi: «Desidero tornare in seminario
 al più presto. Là i nostri superiori mi aiuteranno a diventare prete».


 Pregava ogni giorno affinché Gesù affrettasse il fortunato giorno del
 suo rientro in seminario. 

La sua presenza in quei giorni stupiva: aveva solo 14 anni ed era poco più
di un bambino, ma non si era mai mimetizzato né aveva nascosto la sua chiara
 identità di aspirante appassionato al sacerdozio. Continuava ad indossare
la veste nera e spesso il cappello da prete. 

Tutti lo conoscevano e lo incontravano così: sull’aia di casa, per la strada, 
in chiesa. Il volto pallido, lo sguardo dolcissimo, gli occhi buoni e penetranti; 
l’aspetto sorridente e gioioso, semplice e aperto con tutti, pronto a parlare con
intelligenza e coraggio. Ma quando pregava in chiesa, inginocchiato davanti al tabernacolo, 
le mani giunte, assorto e come rapito da Dio, sembrava un angelo. 

Spesso in paese scoppiavano dispute alle quali non era facile rispondere. Era più
 conveniente tacere. Capitò che in una discussione alcuni attaccarono ingiustamente 
la Chiesa e l’attività dei sacerdoti. Rolando difese a fronte alta Gesù, 
il Papa, la Chiesa e i sacerdoti, senza paura alcuna. Era conosciuto per la sua fede
e il suo coraggio; era ammirato, ma anche da taluni malvisto perché aveva
 apertamente dimostrato che voleva diventare prete. 
 
 
Immolato

Il primo 
aprile di quell’anno, Pasqua di resurrezione, don Olinto Marzocchini è
 già rientrato a San Valentino e al suo fianco è rimasto il giovane 
curato. Durante la settimana santa Rolando ha partecipato alle celebrazioni 
liturgiche con grande entusiasmo. E giovedì, davanti all’altare dell’Eucaristia,
 ornato di fiori e di ceri accesi, ha pregato: «Grazie, Gesù,
 perché ci hai donato Te stesso nell’Ostia santa e rimani sempre con noi… 
Aiutami a ritornare presto in seminario e a diventare sacerdote …». Il venerdì, 
baciando il Crocifisso, ha ripetuto l’offerta al suo grande Amico: «Tutta la 
mia vita per Te, o Gesù, per amarti e farti amare». 

Il giorno di Pasqua, durante le messe, Rolando suona l’organo accompagnando i canti.
 Riceve Gesù nella comunione. In sacrestia, il parroco gli dice: «Sei
 stato bravo, Rolando! Per tutti i servizi fatti nella settimana santa, accetta questo
piccolo dono… E che il Signore ti benedica», e gli mette in mano una piccola
 somma. 

Si sente nell’aria qualcosa di nuovo. C’è ancora guerra, ma tutti sentono
 che volge alla fine. 

Nei giorni successivi, Rolando non manca mai alla messa e alla comunione. Poi, tornato
 a casa, esce con un libro sotto braccio e va a studiare presso un boschetto non lontano
 dalla sua abitazione. 

Il 10 aprile, martedì dopo la domenica in Albis, al mattino presto, è
 già in chiesa: si celebra la messa cantata in onore di san Víncenzo 
Ferreri, che non si è potuta celebrare il 5 aprile, giorno anniversario, essendo 
l’ottava di pasqua. Suona e accompagna all’organo i cantori, tra i quali c’è 
anche il papà. Si accosta alla comunione e si raccoglie in preghiera a ringraziare
 il Signore. Prima di uscire, prende accordi con i cantori, per cantare messa 
anche l’indomani. 

Torna a casa. I suoi genitori vanno a lavorare nel campi. Rolando, con i libri sottobraccio, 
si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa. Indossa, come
 sempre, la sua veste nera. 

A mezzogiorno, non vedendolo ritornare, i genitori lo vanno a cercare. Tra i libri,
 sull’erba, trovano un biglietto: «Non cercatelo. Viene un momento con noi, 
partigiani». Il papà e il curato di San Valentino, in forte ansia, cominciano
 a girare nei dintorni alla ricerca del ragazzo. Cosa sarà mai capitato?…


 Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro base. Rolando
 capisce con chi si trova. Quelli lo spogliano della veste talare, che li irrita troppo.


Ora hanno davanti a loro un povero ragazzo di quattordici anni, tremante, vestito
 poveramente, come Gesù nel pretorio di Pilato. Alle loro beffe, Rolando risponde:
 «Sono un ragazzo, si, un seminarista… e non ho fatto nulla di male».


 Quelli lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano.
 Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente. Così era stato 
fatto, un giorno lontano, a Gesù. 

Rolando, innocente, prega nel suo cuore e chiede pietà. Qualcuno si commuove
e propone di lasciarlo andare, perché è soltanto un ragazzo. Ma altri
si rifiutano: prevale l’odio al prete, all’abito che lo rappresenta. Decidono di 
ucciderlo. 

Lo portano in un bosco presso Piane di Monchio (Modena). Davanti alla fossa già
 scavata, Rolando comprende tutto. Singhiozzando implora di essere risparmiato. Gli
 viene risposto con un calcio. Allora dice: «Voglio pregare per la mia mamma
 e per il mio papà». Si inginocchia sull’orlo della fossa e prega per
 sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. 

Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra, nel suo sangue. Un ultimo pensiero, 
un ultimo palpito del cuore per Gesù, perdutamente amato… Poi la fine. 

Quelli lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche. La veste da prete
 diventa un pallone da calciare; poi sara appesa, come trofeo di guerra, sotto il
 porticato di una casa vicina. 

Era il 13 aprile 1945, ricorrenza del giovane martire sant’Ermenegildo (+585 d.C.),
 venerdì, come quando Gesù si immolò sulla croce. Rolando aveva 
14 anni e tre mesi. 

In quell’istante il cielo si aprì e Gesù accolse nella sua gloria Rolando
 Maria Rivi, piccolo angelo, martire della fede. Con la vita, con la parola e perfino
 con il suo sangue aveva proclamato: «Quanto ho di più caro al mondo
 è Cristo: Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui! ».
 
Testo tratto da: P. Risso, Rolando Rivi, un ragazzo per Gesù, Camposampiero (PD), Del Noce 1997, pp. 47-60.